Gli impianti di Mellitah hanno ripreso ieri a pompare gas dalla Libia a Gela, in Sicilia., dopo che l’esercito libico ha preso il controllo del complesso. Le attività erano state interrotte sabato a seguito degli scontri tra milizie armate della zona.
Il complesso di Melittah è gestito da una società compartecipata da Eni e dall’azienda petrolifera di Stato libica, la Noc e tratta sia petrolio e gas provenienti dal giacimento di Wafa, nell’interno, sia gas che arriva dalla piattaforma offshore di Sabratha e che viene poi portato in Sicilia attraverso il gasdotto sottomarino Greenstream. L’impianto di Mellitah è, quindi, molto importante per la Libia, così come per l’Italia.
La rivoluzione contro Gheddafi aveva praticamente interrotto la produzione di petrolio e gas, che è ora ritornata a livelli vicini a quelli precedenti, malgrado interruzioni che tuttora avvengono a seguito di scontri come quelli di sabato. Il settore petrolifero è fondamentale per l’economia libica e rappresentava circa il 95% delle esportazioni del Paese.
Questi scontri, insieme a quelli che negli stessi giorni sono avvenuti in altre zone del Paese, sono il segno più evidente della instabilità e insicurezza lasciate in Libia dalla caduta di Gheddafi. In una conferenza stampa di giovedì scorso, il Primo ministro libico Ali Zeidan ha indicato nelle milizie armate il principale problema, affermando che Tripoli, come le altre città della Libia, non può rimanere “sequestrata” da costoro. Il governo è deciso a intervenire e chiede il sostegno della popolazione.
Nella stessa occasione, il Ministro degli interni ha ammesso che sequestri, rapimenti e arresti arbitrari sono diventati un grave problema, recentemente soprattutto a Tripoli. Il che può sorprendere, dato che si considerava la Cirenaica la parte più problematica del Paese. Tuttavia, il ministro ha anche affermato di essere certo che la maggior parte dei gruppi armati è disposto a consegnare le armi e ad entrare nelle forze di sicurezza regolari.
Dalla conferenza stampa emergono, però, dati preoccupanti proprio sulle forze di sicurezza, tra le quali vi sono state diverse manifestazioni di protesta e di disobbedienza civile. Da qui il richiamo del ministro alla necessità che la polizia accetti disciplina e regolamenti. Invito un po’ strano, ma comprensibile visto che, a quanto pare, molti membri della polizia continuano a percepire lo stipendio, ma non sono tornati al lavoro, anche da molto tempo, e ora sono minacciati di licenziamento.
Notevoli difficoltà rimangono nel controllo dei confini, sia per bloccare il contrabbando, specialmente di droga, che il flusso di immigrati illegali, un problema questo con gravi risvolti sociali e umanitari. In senso contrario vi è il traffico di armi e dalla Libia sono uscite, e tuttora escono, molte armi che vanno a rifornire le fazioni combattenti nei Paesi vicini, come accaduto per il Mali.
Gheddafi è stato abbattuto, ma i problemi sono rimasti e per certi versi aumentati. Tra l’altro, la Libia è stata l’unica, tra gli Stati della cosiddetta “primavera araba”, a subire un diretto intervento militare straniero, inizialmente francesi, inglesi e americani, appoggiati poi da altri Stati, tra cui l’Italia, fino a quel momento un “fedele amico” di Gheddafi.
Particolarmente sorprendente la decisione di Obama di partecipare all’attacco, perché una delle ragioni, o forse la principale, della sua prima elezione era stata proprio la delusione seguita al tentativo di Bush di portare la democrazia in Iraq con le armi. Obama in Libia non ha avuto maggior successo di Bush in Iraq ed entrambe le situazioni sono elemento di instabilità per i Paesi vicini.
In verità, tutta la recente politica americana in Nord Africa e Medio Oriente è all’insegna della ambiguità, divisa tra una proclamata adesione ai “principi superiori” e un pragmatismo che, a differenza del passato, sembra essere privo di una visione strategica. Purtroppo, l’altro attore che potrebbe essere presente positivamente in questo scacchiere, l’Europa, procede invece in ordine sparso, ciascuno a difesa dei propri immediati interessi.
Finora l’Italia non è riuscita a fare neppure questo ed è difficile che riuscirà a farlo in futuro, viste le beghe da cortile che impegnano i nostri politici, incapaci di risolvere anche la più piccola delle nostre questioni interne.