La politica internazionale degli Stati Uniti si sta modificando e ciò potrebbe, anzi dovrebbe, porre qualche interrogativo all’Europa. L’Amministrazione Obama è stata spesso accusata di una strategia ondivaga nei confronti del Medio Oriente, in particolare dell’alleato Israele e dell’altro alleato nello scacchiere, la Turchia, e di una certa ambiguità nei confronti delle cosiddette “primavere arabe”. E’ però ancor più difficile capire quale sia la strategia dell’Europa in un settore così fondamentale per il vecchio continente, né tanto meno quale sia la strategia, o più semplicemente la posizione, dell’Italia a tal proposito.
Si sta invece delineando una più precisa strategia americana per quanto riguarda il Pacifico, anche in conseguenza del progressivo disimpegno da Afghanistan e Iraq, che avevano portato ad una relativa minor presenza degli Stati Uniti in un’area per essi nevralgica. Due sono i poli di attrazione: uno è la Corea del Nord e l’altro è la Cina.
La Corea del Nord ha finora sempre occupato le cronache come lo Stato in cui il comunismo è ancora ermeticamente dominante, tanto da chiudere ermeticamente anche l’intero Paese. La Corea pone, inoltre, particolari problemi essendo già una potenza nucleare, sotto sanzioni dell’Onu a seguito degli esperimenti nucleari del 2006 e del 2009.
La Cina ha sempre tenuto un atteggiamento di protezione verso la Corea del Nord, non solo per “simpatia” ideologica, ma all’interno della propria strategia di potenza egemone nell’area, in un confronto con l’altra potenza fortemente presente, gli Stati Uniti appunto, e i suoi alleati, in primis Corea del Sud e Giappone. Negli ultimi tempi, tuttavia, sembrava esservi una certa distensione, con tentativi di riavvicinamento tra i vari Stati. Anche l’annoso problema con Taiwan sembrava aver trovato una sorta di modus vivendi.
Durante la presidenza Bush, se vi era stato un certo allentamento nella presenza politica americana, economicamente si erano instaurati stretti rapporti economici tra Usa e Cina, con quell’allora circolo virtuoso dato dai cinesi che compravano titoli di stato americani e con quest’ultimi che importavano in massa prodotti cinesi.
L’attuale crisi sta incrinando questo schema e, per converso, si sta scaldando la situazione politica e militare. La dinastia al potere in Corea del Nord, giunta al suo terzo rappresentante, ne sta approfittando, non solo con le provocazioni di frontiera che hanno punteggiato questi sessanta anni di tregua tra le due Coree (la tregua risale al 1953, ma non è mai stato firmato un trattato di pace), ma con un terzo esperimento nucleare. Questo test, condotto lo scorso 12 febbraio, ha sollevato critiche in tutto il mondo, in particolare negli Stati vicini, e ulteriori sanzioni per il regime.
La Cina si è unita alle critiche, invitando comunque alla prudenza. L’impressione è che i dirigenti cinesi, un po’ più freddi nei confronti del loro imprevedibile e indisciplinato protetto, siano soprattutto preoccupati che le sanzioni peggiorino la tragica situazione interna coreana, aumentando la pressione di profughi nelle zone di confine cinesi, già ora in difficoltà.
Il regime coreano ha giustificato il test nucleare come atto di “autodifesa di fronte all’aggressività” americana e della Corea del Sud, definito “marionetta” degli Usa. Ha poi alzato di parecchio il tono, minacciando la denuncia della tregua del ’53 a seguito delle esercitazioni militari congiunte in corso nella Corea del Sud, definite una prova dell’ostilità americana nei loro confronti e della volontà di attaccarli.
L’Agenzia di stampa nordcoreana (KCNA) accusava lunedì scorso gli “imperialisti americani” e i loro alleati-marionetta del sud di condurre esercitazioni militari e di guerra nucleare per invadere la Corea del Nord. Aggiungendo che “i potenti mezzi di attacco della Repubblica popolare, incluso il deterrente nucleare per la giustizia, sono in attesa dell’ordine di lancio e stanno tenendo sotto mira i capisaldi delle forze di aggressione imperialiste statunitensi e i ricettacoli della oltraggiosa campagna anti coreana”.
I toni sono quelli tipici delle dittature e, oltre che i proclami della Cina maoista, ricordano per certi versi quelli mussoliniani, del tipo “spezzeremo le reni alla Grecia”, come per esempio: “Il mondo vedrà quelli che hanno acceso il fuoco messi di fronte al loro miserabile destino di distruzione e i difensori della giustizia conquisteranno la vittoria finale”. Al di là della retorica, rimane improbabile una vera guerra nucleare, anche se non si può mai dire mai.
E’ interessante notare che, accanto alla versione inglese, la KCNA ha anche quella in spagnolo. In un articolo di questa sezione si illustra la posizione della Corea del Nord circa il test nucleare definito “una misura concreta per difendere la propria sovranità e sicurezza di fronte alla brutale ostilità degli Stati Uniti”, che sono anche accusati di strumentalizzare il Consiglio di Sicurezza dell’Onu contro la Repubblica popolare.
L’acme propagandistico si raggiunge nel punto in cui l’Agenzia accusa gli Usa di aver distolto, con la loro politica aggressiva, la leadership nordcoreana dai suoi sforzi per costruire una migliore situazione economica e di vita per il popolo “in un ambiente pacifico e stabile”. Perciò, la responsabilità della situazione che si è venuta a creare nella penisola coreana è completamente dovuta all’imperialismo “yanqui”. Il perché di una versione in spagnolo è ora chiaro.
E’ anche chiaro perché gli Stati Uniti stiano ridando molta attenzione all’area del Pacifico, dove sempre più diffusi sono i conflitti locali, di impronta politica, nazionalistica o religiosa, e in cui il pericolosissimo braccio di ferro tra Cina e Giappone per le isole Senkaku, con i relativi venti di guerra, non sembra essere vicino a una soluzione.