La conferenza stampa di Urbano Cairo sull’acquisizione di parte de La 7 ha lasciato più domande che risposte, data l’abbondanza di dichiarazioni di intenti e l’assenza di dati concreti, per i quali occorrerà attendere il piano industriale previsto per il prossimo giugno. Alcune affermazioni di Cairo sembrano scontate in questa fase ancora precedente la firma definitiva del contratto di acquisto, come la “intoccabilità” della linea editoriale e delle trasmissioni che fanno audience, e dei loro conduttori. Anche l’impegno dichiarato a non licenziare sembra “dovuto”, visto che è la politica che Cairo ha perseguito, a suo tempo e meritoriamente, nell’acquisizione della Giorgio Mondadori.
Tuttavia, è proprio questo uno dei punti che lascia aperta qualche domanda. Nel caso della Giorgio Mondadori i licenziamenti vennero evitati, dice Cairo, reimpiegando gli esuberi in nuove iniziative editoriali, ma per La 7 si parla solo di ampliare l’audience del pomeriggio per prendere più ascolti nel pubblico femminile, in particolare giovanile. Difficile stabilire se questo ampliamento sarà sufficiente, vista l’assenza di dati numerici già accennata.
Per la verità, un numero è trapelato in merito al riassorbimento di circa 60 persone in Telecom Italia Media previsto dagli accordi con Telecom, una riduzione di circa il 12/13% del personale attualmente di circa 470 dipendenti. In tal caso, oltre che della situazione finanziaria, Telecom si sarebbe fatta carico anche degli esuberi, liberandone Cairo. E spostando il problema su TI Media.
Si arriva così alla domanda di fondo: chi ci guadagna in questo contratto? Le condizioni di vendita fatte da Telecom sono decisamente favorevoli all’acquirente, il che significa che La 7 era diventata un peso insostenibile anche per il futuro. Sotto questo aspetto, l’affare lo fa Cairo che si porta a casa a buon prezzo il “terzo polo” televisivo italiano. Ci si potrebbe, però, domandare perché un’operazione così gravemente in perdita dovrebbe improvvisamente diventare profittevole passando di mano. Tanto più che l’acquirente è un editore cartaceo e che l’unica sinergia con la TV sembrerebbe quella derivante dall’operare anche come concessionario di pubblicità. Inoltre, TI Media si è tenuta il 51% di MTV, canale decisamente interessante, e la società che gestisce le frequenze. L’altro concorrente all’acquisizione, il fondo di investimento Clessidra, aveva avanzato un’offerta per l’acquisto di tutte le società, che sembra sia stata rifiutata proprio perché Telecom ha considerato insoddisfacente il prezzo offerto per le frequenze.
Cairo si dice convinto di riuscire a ridurre i costi o, per usare la sua espressione, “ci sono rubinetti aperti che vanno chiusi.” Sarà interessante capire quali e se, magari, vi sono compresi i compensi dei conduttori di grido che, peraltro, sono quelli che fanno audience. Forse per questo ha anche dichiarato che “non sarà facile rimetterla in sesto velocemente“. Mi pare un po’evasivo anche il motivo del netto rifiuto dell’ipotesi di allargare la compagine societaria, cioè l’avversione alle cordate, perché non credo che sul tavolo vi siano ipotesi tipo Alitalia o Telecom di un tempo, anche se Cairo si sta dimostrando a suo modo un “capitano coraggioso”.
Rimane il fatto oggettivo della clausola che impedisce la vendita per due anni, ma non è chiaro se si riferisca solo alla cessione totale de La 7 e, comunque, potrebbero non essere impedite forme di collaborazione senza passaggi azionari, ma in grado di fornire una maggiore massa critica. In un recente articolo di Juanfran Valerón si sono esaminate le varie possibilità in proposito e, a mio parere, il candidato principale resta De Agostini, anche per le sue caratteristiche di azienda tuttora familiare, nonostante le dimensioni e l’internazionalizzazione raggiunte.
Sullo sfondo rimane la progressiva riduzione di importanza della televisione generalista, che pone qualche dubbio sulla futura redditività di un canale “scelto” come La 7, attualmente con una share tra il 3,5% e il 4%, sia pure con un’audience selezionata. La situazione potrebbe cambiare se la soluzione al problema, tuttora irrisolto, del duopolio Rai-Mediaset portasse alla cessione di canali, già ventilata in passato, per esempio, riguardo a Rete 4. In tal caso, l’acquisizione del nuovo canale porterebbe il terzo polo a una più consistente share, tra il 10% e il 15%, ma gli investimenti diventerebbero forse improponibili per la Cairo Communications, che, rimanendo da sola, si troverebbe a competere con un altro contendente comunque pericoloso, qualunque sia l’acquirente.
Cairo ha dimostrato finora di essere un ottimo manager e un imprenditore avveduto, dunque avrà fatto bene i suoi calcoli. Può darsi che i due anni di lock-up siano da vedersi proprio in questa prospettiva, nell’attesa di tempi migliori per rimettere insieme La 7, MTV, il multiplex e un altro canale, costituendo un vero e proprio terzo polo. Vedremo sotto quale bandiera.