Il termine inglese filibuster per la maggior parte di noi rimanda a una questione di pirati, ma i più anziani ricorderanno forse un vecchio film, Mister Smith va a Washington, in cui James Stewart parla al Senato americano per 24 ore, fino a che cade svenuto, ma ottenendo che venga costruito un campo per boyscout invece della diga voluta da loschi affaristi.

Questo è ciò che negli Stati Uniti si intende per filibuster e che noi chiamiamo ostruzionismo. E’ ciò che ha fatto il senatore Repubblicano Rand Paul mercoledì scorso, fermandosi però prima dello scadere della tredicesima ora. La ragione immediata dell’ostruzionismo è stata la nomina a capo della Cia di John Brennan, sostenuta dai Democratici e poi approvata giovedì con 63 voti contro 34.

John Brennan è considerato l’artefice della recrudescenza sotto Obama della lotta al terrorismo attraverso l’uso dei droni, gli aerei senza pilota, iniziata già sotto Bush. Rand Paul, esponente dell’area libertaria del Partito Repubblicano, ha preso spunto dalla nomina di Brennan per porre una questione che è condivisa da larga parte del suo partito e anche da molti Democratici: la mancanza di controllo sui criteri che guidano l’Amministrazione nell’uso dei droni.

L’opposizione di Rand si è concentrata sulla possibilità di utilizzo dei droni fossero contro cittadini americani sul suolo degli stessi Stati Uniti, cosa non impossibile in teoria, ma poi smentita per iscritto dal Procuratore generale Eric Holder e dalla Casa Bianca. Paul è stato criticato, peraltro, da qualche suo compagno di partito, come John McCain, già candidato alla presidenza contro Obama, favorevoli invece alla continuazione dell’uso dei droni.

Il dibattito, in realtà, è continuato fuori del Senato, poiché molti americani sono preoccupati dalla segretezza, forse inevitabile, che copre il programma e da un uso dei droni ritenuto troppo ampio e indiscriminato, con regole di applicazione che appaiono oscure. L’Amministrazione Obama si è vista costretta a dare assicurazione sul fatto che l’uso dei droni per l’eliminazione mirata di “nemici combattenti”contro gli Usa avviene e avverrà “secondo le leggi e la Costituzione”.

I punti critici continuano a persistere, come scrive The Christian Science Monitor, che ne elenca tre principali. Se l’uso dei droni può essere accettabile durante una guerra dichiarata, come in Afghanistan, il loro uso è molto meno accettabile in Paesi, come il Pakistan, al di fuori di operazioni militari, in azioni decise dalla Cia. Ciò è molto discutibile sotto il profilo del diritto internazionale e può spingere altri Paesi a utilizzarli a loro volta, anche per azioni di rivalsa contro gli Usa.

Un altro aspetto molto rilevante è l’uccisione di civili durante queste operazioni. Non vi sono statistiche precise, data la segretezza, ma si calcola che ammontino a diverse centinaia nei vari Paesi colpiti (Pakistan, Yemen, Somalia, oltre Afghanistan) ed è troppo semplicistico accantonarli come “danni collaterali”. Ciò sta facendo crescere un diffuso sentimento antiamericano diffuso, che rischia di aumentare i terroristi invece che ridurne il numero.

Un terzo punto critico è che, mentre le guerre tradizionali sono portate avanti da militari, che giurano sulla Costituzione e sono riconoscibili come combattenti, i droni sono utilizzati da un’agenzia non militare, come è la Cia, senza i vincoli rigidi posti ai militari sul campo. La situazione è ben descritta da questa frase sentita al Dipartimento di Stato: “se la Cia vede tre tizi che fanno ginnastica, pensa subito che si tratti di un campo di addestramento di terroristi”. E colpisce.

In effetti, non è chiaro come e sulla base di quali informazioni si stabilisce chi può essere definito combattente, se sta preparando un attacco imminente e contro chi, e il tutto assomiglia troppo a una guerra contro i terroristi che impiega, a sua volta, metodi con tratti terroristici.

Molti americani si stanno ponendo, perciò, la domanda di quanto questi atti del loro governo siano giustificabili sotto il profilo giuridico e morale, non solo, ma quanto in realtà servano al loro Paese o, viceversa, lo danneggino ancor di più.

Il paradosso è che queste domande vengano poste a un Presidente che è stato insignito del Premio Nobel per la Pace. Ma così va il mondo.