L’ultima mossa di Giorgio Napolitano sembra aver “gelato” i politici e lasciato perplessi molti commentatori. A parte le accuse di “inciucio da Prima Repubblica”, la decisione è stata da molti interpretata come un guadagnar tempo, anche perché in molti si aspettavano, e desideravano, un accorciamento dei tempi, con le dimissioni anticipate da Presidente della Repubblica.

In realtà, Napolitano non ha né abbreviato, né allungato, i tempi, si è limitato a fermarli, ricordando a tutti che un governo in carica c’è e rimarrà fintantoché non si costituirà una maggioranza che consenta un nuovo governo. Ed è sotto gli occhi di tutti che tale maggioranza non esiste.

D’altra parte, i partiti non hanno lasciato molte alternative., Un “governo del Presidente” sarebbe stato, visto il clima politico, un parto laborioso e incerto, e comunque il governo di un Presidente in scadenza, una specie di ipoteca sul nuovo Presidente, la cui elezione si presenta non semplice. Difficile capire come questo governo avrebbe potuto essere minimamente operativo, senza un accordo di fondo tra i partiti, che continua a non esserci.

Le dimissioni anticipate avrebbero avuto il solo esito di rendere possibile lo scioglimento delle Camere in modo da poter andare al voto prima di luglio. Invece, ora, le eventuali elezioni sono rimandate verosimilmente a dopo l’estate.

Non è un caso, perciò, che le critiche più aspre vengano da quotidiani di area berlusconiana, che si spingono a parlare di strappo alla Costituzione, a mio parere del tutto indebitamente. Berlusconi ormai ci contava su elezioni a breve termine, convinto che il Pdl avrebbe guadagnato voti, cosa non del tutto improbabile.

In questa vicenda che all’estero suonerà come l’ennesima dimostrazione della “stranezza” italiana, la parte più incomprensibile l’ha giocata Bersani, con la sua pervicacia nell’inseguire l’alleanza con M5S e, dall’altra, la sdegnosa, o meglio sdegnata, chiusura a ogni collaborazione con il Pdl. Una strategia che è difficile possa premiare il Pd alle prossime elezioni.

Il comportamento di Bersani è forse spiegabile con logiche interne di partito. Al di là delle frasi di circostanza, il Pd ha perso le passate elezioni, distanziando di poco il Pdl e subendo l’avanzata di Grillo. Senza il tanto deprecato Porcellum, il Pd non avrebbe la maggioranza neppure alla Camera. Eppure il Pd era convinto di vincere alla grande, con al massimo la necessità di un accordo con Monti cui, un po’ altezzosamente, Bersani aveva offerto un ministero nel proprio governo.

Per evitare di essere messo sotto accusa dai suoi, Bersani aveva una sola possibilità, cioè riuscire a fare comunque un governo, da cui la penosa caccia ai voti dei grillini, nonostante gli insulti avuti in risposta. Lo scontro con Napolitano, di cui hanno parlato i media, è probabilmente avvenuto sulla pretesa di Bersani di andare in Parlamento senza una maggioranza precostituita al Senato, fiducioso di trovare lì una qualche “quadra”, magari con transfughi dall’M5S.

E’ quindi probabile che, nelle nuove elezioni, il Pd non sarà più guidato da Bersani; la domanda si sposta ora su chi guiderà il Pdl. Sullo sfondo due partiti in decisa crisi e un M5S anch’esso in difficoltà, perché colto nel pieno di un difficoltoso passaggio da movimento di protesta a organizzazione politica. I primi segnali non sono molto positivi e l’idea delle “primarie” per la candidatura alla Presidenza della Repubblica sembrerebbe una mossa tra l’ideologico e il mediatico.

Vi è infine da notare che, in questa paradossale vicenda, il vincitore rischia di essere l’emarginato e deludente Monti. In fondo, Napolitano ha ricordato a tutti che un “governo del Presidente” c’è già ed è quello attualmente in carica. Monti ha davanti a sé, presumibilmente, almeno sei mesi, se un Parlamento impazzito non lo sfiducia, creando un altro ingorgo istituzionale. Un’occasione imprevista e imperdibile per dimostrare di saper almeno avviare quei provvedimenti sulla crescita che, per sua stessa ammissione, è stato finora incapace di prendere.