La nostra è un’epoca dominata da rete e sondaggi, due fonti preziose di informazioni, ma da prendere con cautela, come per ogni fonte di informazione in assenza di precise conoscenze su provenienza e modalità di raccolta di notizie o dati. Con questa premessa, è interessante analizzare alcuni dati di un recente sondaggio della SWG, noto istituto di ricerche di mercato di Trieste, condotto telefonicamente su un campione di 1500 intervistati maggiorenni.

SWG ha chiesto agli intervistati come pensano dovrebbe essere l’Italia futura: il maggior numero di risposte (che potevano anche essere multiple) si concentra con il 47% sulla meritocrazia. Un dato interessante, al di là dei numeri, perché indica comunque uno dei punti deboli del nostro sistema, in particolare per quanto riguarda la pubblica amministrazione, ma non solo, data la frequente accusa di essere una società “familista”, più basata sui rapporti che sui meriti.

Il concetto di meritocrazia viene spesso considerato ideologicamente in opposizione a quello di solidarietà, in quanto caratterizzata da connotati di egoismo o individualismo. Degli intervistati, il 19% vorrebbe un’Italia solidale, il 16% la vorrebbe meno individualista e il 32% equa. Una divisione netta tra gli intervistati? Non necessariamente, perché la meritocrazia può essere intesa come uno strumento per costruire una società più equa, né essa va intesa solo in termini individualistici, dato che include in sé anche il saper lavorare in squadra.

Dopo questa prima analisi mi viene da dire che, in molte ambiti, siamo riusciti a creare situazioni di estremo individualismo senza alcun rispetto della meritocrazia. A giudicare da questi dati, invece, gli italiani sembrerebbero disposti a sottoporsi al giudizio meritocratico, magari cum grano salis.

La caratteristica “innovativa” si situa al secondo posto con il 40%, cui si aggiunge un 21% per “dinamica”. Si tratta di termini ormai di moda, ma credo emerga anche l’insofferenza per un Paese che dà l’immagine di essere fermo, seduto.

Un terzo asse è dato dal 27% di “sicura” e dal 24% di “forte”; d’altro canto, le caratteristiche “aperta”, “tollerante “ e “armoniosa” assommano a un 23%. Ancora una volta fattori non necessariamente in contrasto, come anche il 16% che vorrebbe l’Italia “europeista” e il 10% che la vorrebbe con più “identità locale”. Inoltre, il 30% vorrebbe un Paese più rispettoso dell’ambiente.

Dati non necessariamente in contrasto tra loro, perché una società aperta e armoniosa è senza dubbio più sicura e forte, come lo è se rispetta l’ambiente, e una precisa identità permette di essere membri a pieno titolo di aggregazioni più ampie, come l’Europa.

Guardando alla nostra politica è perfino troppo facile ipotizzare che questi dati sarebbero presi invece come strumenti ideologici contro l’avversario e non come punti di un programma armonico da sviluppare. Per ultimo, un dato direttamente collegato al dibattito politico di questi tempi: il 37% degli intervistati vorrebbe “più giovani al comando”, il terzo elemento dopo meritocrazia e innovazione. Non conoscendo né la struttura del campione, né quella delle risposte, non è possibile stabilire se queste risposte vengono prevalentemente dai diretti interessati, i giovani.

Rimane il fatto che questo elemento è stato dominante ultimamente sulla scena politica e sono a questo punto interessanti le risposte a un’altra domanda, cioè come potrebbe essere realmente rilanciato il Paese. Gli intervistati dovevano scegliere tra una serie di idee elencate, con possibilità di più risposte.

Di gran lunga al primo posto troviamo “tagliare i costi della politica”, con il 64%, seguito da tre “idee” con percentuali attorno al 45%,: “taglio sulle tasse del lavoro”, “lotta dura all’evasione fiscale” e “stop alla speculazione delle banche”. La scelta degli intervistati parrebbe rispettare l’attuale peso mediatico di queste idee, ma indica senza dubbio problemi realmente percepiti come essenziali. Colpisce l’importanza data ai costi della politica, che credo vada molto al di là del semplice taglio degli emolumenti o delle province, esplicitando la richiesta che la politica sia al servizio del Paese, per il quale invece sembrerebbe solo un costo.

Altrettanto significativo (43%) è il giudizio negativo sulle banche, sintomo che non si ritiene che le banche facciano ciò che dovrebbero, sostenere l’economia e le famiglie, ma pensino solo a speculare. Sorprendente è anche il 15% attribuito all’introduzione del reddito di cittadinanza: pur tenendo conto di quanto detto prima sul campione, siamo abbastanza lontani dalle percentuali di voto ottenute da M5S, propugnatore del provvedimento.

Infine, se il 16% alla precedente domanda desiderava un’Italia europeista, qui il 12% ritiene necessario uscire dall’euro per rilanciare il Paese. E se il 37% vorrebbe più giovani al comando, solo il 26 % ritiene importante investire sui giovani talenti per il rilancio dell’Italia.

Per concludere, l’immagine del “Paese che vorrei” e di come arrivarci sembra chiara e realistica, anche se con qualche stereotipo, ma lontana da quello che concretamente offre la classe politica. Tuttavia, non è forse giusto dare ai politici tutta la colpa, perché costruire un Paese come quello descritto è compito dei cittadini. E poi, in fondo, questi politici ce li siamo pur sempre scelti noi, in un modo o nell’altro.