Il Cda di Telecom che si riunisce oggi dovrà affrontare lo scorporo della rete fissa, ma molte altre sono le questioni da mettere senza indugi sul tavolo, a partire dalla questione della discussa fusione con 3 Italia, della cinese Hutchison Whampoa. E appare sempre più necessario e urgente cominciare a delineare linee strategiche per il futuro del gruppo. Nel frattempo, dal mondo degli analisti sono pervenute notizie non proprio positive. Qualche giorno fa è apparso su CorrierEconomia un articolo con alcuni dati di uno studio commissionato dal Corriere della Sera all’Università Bocconi in cui, per l’ennesima volta, si poneva in risalto l’eccessivo livello di indebitamento di Telecom e il progressivo deteriorarsi di vari parametri finanziari ed economici. Per la Bocconi, la ragione principale dei cattivi risultati sta nella concentrazione dell’azienda sul mercato italiano, saturo e con un’economia in recessione, individuando quindi la via d’uscita nella internazionalizzazione e la necessità di adeguati capitali. Poi sono arrivati gli analisti di Nomura, che hanno abbassato il prezzo obiettivo delle azioni da 0,68 a 0,58 euro. Infine, Moody’s, che già in febbraio aveva abbassato il rating a Baa3 con prospettiva negativa, ha espresso dubbi sulla capacità dell’azienda di raggiungere gli obiettivi prefissati per il 2013.
Lo scorporo della rete di accesso in discussione oggi al Cda viene dato come un passaggio obbligato. Il presidente Franco Bernabè ha però già dichiarato che non si tratta di una dismissione, ma di una riorganizzazione della struttura aziendale, aprendo così una serie di problemi per il mercato e il governo.
Il ministro per lo Sviluppo economico, Flavio Zanonato, ha assicurato il massimo impegno del governo “a garanzia sia degli attuali livelli occupazionali oggi assicurati da Telecom Italia, sia a tutela della sicurezza della rete e dello sviluppo tecnologico del Paese“. Ha ricordato poi che la rete è un asset strategico per il Paese, che può coinvolgere la Cassa depositi e prestiti, interessata però solo a investimenti profittevoli.
A quanto risulta, Telecom vorrebbe mantenere il controllo della società in cui confluirebbe la rete e alla quale potrebbe essere attribuito circa un terzo dell’indebitamento totale del gruppo. La rete è in grado di produrre profitti, ma non si capisce perché la Cdp dovrebbe investirvi lasciando il controllo all’ex monopolista, già multato poco tempo fa dall’Antitrust per 104 milioni di euro per abuso di posizione dominante.
Interessanti sotto questo profilo le dichiarazioni a Il Sole 24 Ore di Maximo Ibarra, Ad di Wind, sull’interesse della sua società a conferire la propria rete fissa in cambio di una quota di minoranza in questa nuova società. Infatti, Ibarra delinea quella che parrebbe la soluzione più ragionevole per la gestione della rete di accesso, cioè il controllo alla Cdp e suddivisione pro quota del resto fra gli operatori su rete fissa. In questo modo Telecom potrebbe liberare risorse da impiegare nella sua internazionalizzazione, magari con un parallelo aumento di capitale, cosa come sempre ostica ai nostri capitalisti “di relazione”.
Eppure, i soci finanziari di Telco, azionista di controllo relativo (qualcuno potrebbe dire, molto relativo, vista la quota inferiore al 25% del capitale), sono impegnati in un altro aumento di capitale, quello del “salotto buono” Corsera. Secondo alcune voci, si sta anche ipotizzando una ulteriore suddivisione del gruppo, enucleando la parte di telefonia mobile, un ritorno al passato, dato che Tim era una società separata fino al 2005, quando fu fusa in Telecom. Le conseguenze di questa fusione pesano ancora notevolmente sui bilanci del gruppo.
Al di là degli aspetti finanziari, tutti da vedere, si tratterebbe finalmente di una decisione di tipo strategico, e non solo per mantenere posizioni di potere. Il citato studio della Bocconi indica come possibili mercati di espansione Africa, India e Indonesia o, addirittura, Iran e Pakistan, paesi tutt’altro che facili e in cui parrebbe pericoloso investire su rete fissa. Cosa che sembrerebbe invece possibile per la telefonia mobile.
Come detto, nel Cda di oggi dovrebbe essere affrontato anche il tema della eventuale integrazione con 3 Italia, peraltro solo uno dei possibili partner con cui affrontare la sfida dell’internazionalizzazione. Guardando al passato, vengono in mente i nomi di Naguib Sawiris e della sua Orascom, presente in diversi paesi africani e asiatici, recentemente entrata anche sul mercato canadese, cui fa capo anche la succitata Wind Italia, o di Carlos Slim, messicano di origini libanesi, le cui società telefoniche dominano i mercati dell’America Latina.
Carlos Slim è considerato l’uomo più ricco del mondo, contendendo il primo posto a Bill Gates, mentre Li Ka-shing, proprietario della Hutchison Whampoa, si situa “solo” all’ottavo posto, e quindi non hanno certamente problemi finanziari, come i soci italiani.
Il punto che continua paradossalmente a rimanere dietro le quinte è che Telecom un socio industriale lo ha già in Telefonica, presente all’interno di Telco, e non si capisce perché gli spagnoli dovrebbero permettere a dei concorrenti di “soffiargli” Telecom sotto il naso. E si torna allo stallo che ha reso impossibile ogni seria discussione sulle strategie future del gruppo, ma ora gli spazi per i giochi politico-finanziari condotti finora si stanno chiudendo.
L’ipotesi che è forse realmente in discussione è uno “spezzatino”, che consenta a ciascuno degli attori di uscire con risultati positivi dall’impasse, in una specie di divisione delle spoglie di quello che fu un grande gruppo industriale italiano. I politici potranno sempre dire di aver salvaguardato la tanto conclamata italianità mantenendo sotto controllo pubblico la rete. Speriamo solo che non costi troppo a noi contribuenti.