Ricordo che il mio povero padre, ripiegando sconsolato il giornale, si chiedeva spesso:” Una volta non succedevano così tanti misfatti, o, forse, non ce li raccontavano tutti.” Questa osservazione mi è tornata in mente leggendo i titoli dell’intervista rilasciata a La Repubblica dal sindaco Giuliano Pisapia: “ Pisapia: Milano è più cattiva, ma dividersi è sbagliato.”
Davvero Milano è più cattiva? O forse la continuità e rapidità delle informazioni crea un effetto “accumulo” delle notizie e, di conseguenza, la sensazione che i fatti avvengano in numero maggiore? Ciò spiega probabilmente in parte l’impressione di un peggioramento della qualità della vita nella nostra città, ma in parte tale peggioramento è oggettivo ed è quanto succede un po’ dappertutto in Italia e nel mondo, come conseguenza dei cambiamenti culturali avvenuti negli ultimi decenni.
Mi aspettavo un’analisi di questo tipo da Pisapia, ma leggendo le sue risposte nell’intervista mi è venuto in mente un articolo di Luca Doninelli, pubblicato due anni fa su Ilsussidiario.net, in cui Doninelli affermava che il sindaco di Milano, chiunque fosse, doveva avere una caratteristica principale: amare davvero la nostra città. Mi spiace, ma le risposte di Pisapia sembrano piuttosto quelle di un burocrate teso a dimostrare che “lui non c’entra”. E, almeno in quanto tali, i burocrati non amano.
Lo spunto dell’intervista è stato lo sgombero del centro sociale Zam con i conseguenti, abituali, disordini. A questo proposito, Pisapia si affretta a dire che lo sgombero non è stato voluto dal Comune e che quindi i “ragazzi” sbagliano a prendersela con Palazzo Marino. Un rifiuto ad assumere responsabilità, o il signor sindaco è favorevole alle occupazioni abusive e contrario al ripristino dell’ordine?
Per la verità, Pisapia si dichiara contrario alla violenza, ma ammanta subito questa affermazione di ideologia: “La violenza non è, non può mai essere di sinistra.” Ovvio, come ben si sa, la violenza può essere solo degli altri e se di sinistra, sono solo “compagni che sbagliano”. Chissà dove era Pisapia tutte le volte che i “ragazzi”dei centri sociali, rigorosamente di sinistra, hanno messo a ferro e fuoco intere zone della città.
Evidentemente, anche il Nostro è preda della sindrome del “nessun nemico a sinistra”, ma non sembra avere molto successo. Infatti, dal Centro sociale replicano di avercela proprio con lui, per non essersi opposto allo sgombero, novello Pilato, e per non aver mantenuto le promesse elettorali di dare spazio ad attività come la loro.
Nell’intervista, il sindaco non affronta questo problema, ma dice che “c’è un’emergenza sociale aggravata dalla crisi economica che incide sulla vita di tutti i cittadini.” e aggiunge che “non bisogna speculare sull’odio.” Come non essere d’accordo. Qualche dubbio sorge dall’ultima dichiarazione che invita i cittadini a fare la loro parte: “Se ci fosse una maggiore fiducia nelle forze dell’ordine e nelle istituzioni, aumenterebbero la solidarietà nei rapporti sociali e anche la possibilità di intervenire prima, anziché dopo, per prevenire fatti come quelli accaduti.”
Come sarebbe a dire, signor sindaco, la colpa è nostra che non diamo retta a lei e ai suoi funzionari? O magari ai suoi vigili, che dobbiamo andare a cercare in ufficio, perché per strada ci sono solo gli ausiliari delle multe? E dovremmo essere noi ad anticipare i problemi, così lei e le altre “autorità” potreste starvene tranquilli, senza dover affrontare problemi?
Ora forse capisce perché l’ho definita un burocrate, preoccupato di carte da presentare e timbri da apporre, perché uno che ama la sua città avrebbe fatto trasparire un minimo di calore e, perché no, di dolore per una città, la nostra città che, come dice Doninelli, è diversa, una città mai definita dalle insegne del comando, ma fatta dal basso, dai milanesi, da qualunque parte d’Italia e del mondo venissero.
Questa coscienza ha sempre sostenuto Milano, anche in tempi peggiori degli attuali, si pensi all’immediato dopoguerra, agli anni di piombo, alle contrapposizioni politiche di un tempo ben più radicali di quelle odierne. A quanto pare anche “i ragazzi dello Zam” non sanno che farsene di assicurazioni burocratiche, forse perché anche loro amano questa città, sia pure a modo loro.