Il destino dell’Ilva e dell’impianto siderurgico di Taranto diventa sempre più confuso, dopo il decreto di sequestro del Gip e le dimissioni del Cda dell’azienda. Il governo, per bocca del ministro dello Sviluppo Flavio Zanonato, si è detto molto preoccupato per il rischio di chiusura dello stabilimento, che metterebbe a repentaglio 24mila posti di lavoro diretti, più alcune migliaia nell’indotto, e in ginocchio la nostra siderurgia e la nostra industria meccanica.
Si ripropone intatto lo scontro tra due principi: la difesa dell’ambiente e della salute dei cittadini e la difesa dei posti di lavoro. L’attuale governo, come il precedente, sembrerebbe intenzionato a tenere insieme questi due principi, o diritti, permettendo la continuazione della produzione con una serie di accorgimenti per limitare al massimo i possibili danni e con il contemporaneo avvio di tutte le procedure, lunghe e costose, necessarie per rendere la attività produttiva definitivamente compatibile con le esigenze ambientali e di salute.
L’impressione è, invece, che il Gip di Taranto continui a considerare assolutamente primaria la questione della salute e, come dimostrano le motivazioni del recente sequestro di beni per 8,1 miliardi di euro, l’individuazione e la punizione dei responsabili del disastro ecologico.
Per domani, il ministro Zanonato ha convocato l’Ad dell’Ilva, Enrico Bondi, per un’analisi della situazione, in vista dell’assemblea dei soci del 5 giugno che dovrebbe discutere la nomina del nuovo Cda dell’azienda. Alla riunione parteciperà anche il governatore della Puglia, Nichi Vendola.
Un atteggiamento di tipo “punitivo” da parte del Gip Patrizia Todisco era già emerso in passato, con il decreto di sequestro di prodotti finiti, quindi non più inquinanti, che sono rimasti bloccati a lungo sulle banchine del porto con gravi danni per l’azienda, e con l’opposizione alla legge con cui il precedente governo aveva voluto assicurare la continuità della produzione. Alla fine, i prodotti sono stati dissequestrati e la legge ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale.
A quanto riportano le cronache, le motivazioni del nuovo sequestro in capo all’Ilva di Taranto e alla controllante Riva Fire, della famiglia Riva, parlano di profitti illeciti derivanti dalla violazione per anni delle norme sull’ambiente e sulla salute. La somma sequestrata corrisponderebbe, cioè, a quanto risparmiato in tal modo dalla società e sarebbe stata determinata nella perizia dei custodi giudiziari nominati dalla Procura della Repubblica lo scorso anno.
L’ipotesi di reato riguarderebbe, quindi, l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati ambientali plurimi, accusa che dovrà ovviamente essere provata, cosa questa non del tutto semplice, come appare dall’intervista in proposito a Felice Casson, già magistrato e ora senatore del Pd, apparsa una decina di giorni fa su ilsussidiario.net.
Non sembra incredibile che vi siano delle responsabilità da parte dell’azienda e anche della famiglia Riva, ma qui si è in presenza di un sequestro preventivo che parrebbe attribuire a costoro in toto le responsabilità. Sembra però strano che nessuno si sia mai accorto di niente in tutti questi anni, sindacati, amministrazioni, organi di controllo, politici locali e nazionali. O tutti costoro hanno continuato a denunciare le attività criminali dei Riva senza che la magistratura alzasse un dito? Insomma, parrebbe un caso di concorso di colpa che, in effetti, viene ipotizzato nelle motivazioni del Gip, anche se finora le azioni sono dirette solo contro l’azienda. Novità in arrivo su altri fronti?
Viene in mente la recente vicenda di Mps, dove il sequestro per 1,8 miliardi di euro predisposto dalla procura nei confronti di Nomura è stato annullato dal Gip di Siena, che non ha riscontrato elementi oggettivi che giustificassero il sequestro. Allora è stata la procura ha presentare ricorso in Cassazione, questa volta è l’azienda, con il conseguente allungamento di tempi di cui la produzione dell’Ilva ha già abbondantemente sofferto in passato, senza che nessuno ne traesse vantaggio.
Ancora una volta, se è comprensibile, e la Cassazione deciderà se è anche legittimo, il sequestro di beni mobili della azienda o della famiglia, è più difficile capire il sequestro degli impianti, anche se il Gip sostiene che non procurerà alcuno arresto nella produzione.
Non vorrei fare l’uccello del malaugurio, ma si intravvedono le premesse per due tragedie/farsa all’italiana. Una, il solito braccio di forza tra un magistrato e, per questa volta, non un politico ma una azienda, ovviamente in nome del trionfo della legge. I toni però rischiano di essere da conflitto personale, come con il precedente governo, una sorta di “o hai ragione tu o ho ragione io, tertium non datur”.
L’altra tragedia/farsa si sta profilando in alcune richieste emerse, soprattutto in area sindacale, cioè di un intervento diretto del governo. Anche se Zanonato ha escluso un commissariamento, almeno per il momento, sullo sfondo si agita lo spettro di una rinazionalizzazione dell’Ilva.
In tal caso, sarà bene cominciare a calcolare quanto la precedente privatizzazione ha portato nelle tasche dei Riva e ricordarci i nomi dei politici che hanno gestito l’operazione.