La Corte Suprema degli Stati Uniti ha ieri decretato che i geni umani isolati dalla catena del Dna non possono essere brevettati, in quanto “prodotti della natura” e non “invenzioni umane”. Il caso ha avuto particolare rilevanza anche perché i due geni, BRCA1 e BRCA2, oggetto della sentenza e brevettati dalla Myriad Genetics, sono alla base dei test diagnostici all’origine della scelta dell’attrice Angelina Jolie di sottoporsi a una doppia mastectomia.
La decisione, presa abbastanza eccezionalmente all’unanimità, è stata accolta con molto favore come un necessario limite all’intrusione nel patrimonio genetico a scopo commerciale. Ci si attende ora una riduzione del costo, piuttosto elevato, dei test diagnostici di cui sopra e una messa in discussione dei brevetti sui geni non umani. Sta infatti montando la polemica verso la Monsanto, la multinazionale delle sementi OGM, e in parallelo la domanda su come possano essere remunerati gli alti costi di ricerca, se non è più possibile la strada del brevetto.
Si è ancora una volta in presenza della necessità di contemperare due esigenze in contrasto, come da giorni sempre più chiaro in quello che ormai è definito il Datagate: come far convivere l’esigenza della sicurezza dei cittadini con il loro diritto alla riservatezza sui loro dati “sensibili”. Proprio in questi ultimi giorni, anche il Dna è entrato nel dibattito a seguito di un articolo del New York Times sulla crescente diffusione presso le polizie locali di archivi sul Dna, che si sono affiancati a quelli dell’Fbi e degli stati sottoposti a regole e controlli che sembrerebbero assenti localmente.
Le polizie locali affermano di ottenere in questo modo risultati molto più efficienti nel prevenire e combattere i crimini, soprattutto quelli meno gravi ma rilevanti a livello locale, per i quali gli archivi nazionali sono meno esaurienti e richiedono tempi troppo allungati. Da quanto raccolto dal quotidiano, i rischi di violazione della privacy e di una eccessiva, spesso non autorizzata, schedatura sono notevoli e molti si oppongono a questo nuovo aspetto del Grande Fratello che sta occupando i media americani e internazionali. Una recente sentenza della Corte Suprema, questa volta presa con cinque voti a favore e quattro contro, ha però rigettato l’accusa di incostituzionalità di una legge del Maryland a tal proposito, paragonando la raccolta del Dna a quello delle impronte digitali.
Nella stessa giornata di ieri, il direttore dell’FBI, Robert Mueller, ha difeso l’operato della sua agenzia e dell’ NSA dicendo che occorre essere un passo avanti rispetto a criminali e terroristi, pur operando, e secondo lui è stato fatto, nel pieno rispetto del diritto alla riservatezza dei cittadini. Il presidente della commissione della Camera dei Rappresentanti presso la quale si è tenuta l’audizione, pur dichiarandosi d’accordo sul principio, si è dimostrato molto preoccupato della estensione ormai raggiunta dai programmi di intercettazione e raccolta dati e ha preannunciato una proposta di legge per il loro contenimento. Mueller ha anche affermato che se i programmi ora sotto accusa fossero stati disponibili prima dell’11 settembre 2001, gli attacchi terroristici sarebbero stati meno catastrofici.
Un dibattito che suona familiare a noi italiani, perché ricalca quello sull’abuso delle intercettazioni telefoniche: per alcuni una ingiustificata, e comunque eccessiva, intrusione nella vita privata dei cittadini, per altri invece meritoria iniziativa per i risultati che consente di ottenere nella lotta contro il crimine, risolvendosi alla fine in una maggiore protezione della collettività. Un altro punto in comune è che i progressisti, normalmente perfino esasperati nella difesa dei diritti individuali, sembrano in questo caso disposti a sacrificarli per la collettività. Infine, da entrambi i lati dell’Oceano non è irrilevante la parte politica che prende le decisioni e ora i Repubblicani rinfacciano ai Democratici di aver accusato l’Amministrazione Bush di pesanti violazioni della privacy dei cittadini americani, per poi rendere più invasivo il controllo sotto l’Amministrazione Obama.
C’è poi chi fa rilevare il paradosso di Obama che, incontrando il nuovo presidente cinese Xi Jinping, avrebbe dovuto invitarlo a intervenire contro lo spionaggio, soprattutto economico e industriale,condotto da hacker soprattutto cinesi e russi, che si sospetta siano “protetti dai rispettivi governi. Discorso reso difficile dal contemporaneo scoppio del Datagate, che pare stia facendo molto ridere in Cina. Decisamente una débacle su uno dei fronti più caldi, quello del “cyber spionaggio”, della nuova guerra fredda in corso. Per di più, Snowden, la “talpa”, si è rifugiato a Hong Kong, anche se ora pare se ne siano perse le tracce.
Sotto questo aspetto, tuttavia c’è una notevole differenza tra Italia e Stati Uniti: da noi le notizie escono direttamente dagli uffici giudiziari e finiscono senza problemi ai media, qui la “talpa” è un contractor esterno che lavorava per la NSA, fuggito all’estero per autodenunciarsi come autore delle rivelazioni. Non solo, ma si discute anche se Snowden sia realmente perseguibile, perché vi è una legge che protegge le “talpe” che denuncino comportamenti illegali di istituzioni pubbliche. Il problema è che lo Whistle-blower Protection Enhancement Act esclude dalla protezione le “talpe” (Whistle-blower) delle agenzie di intelligence, mentre la direttiva di Obama del 2012 ha esteso la protezione ai dipendenti di queste agenzie, ma non agli esterni, come è Snowden.
Ma vi è un punto ancor più sostanziale: le pratiche denunciate da Snowden sono legittime o no? Perché se fossero legittime, le regole citate non sarebbero comunque applicabili e le rivelazioni costituirebbero in ogni caso un reato perseguibile. Né varrebbero valutazioni sulla opportunità, o moralità, delle iniziative delle agenzie, perché l’unico criterio è la loro legittimità, e i vertici delle agenzie coinvolte sostengono di aver agito secondo le leggi vigenti e le disposizioni degli organi di controllo. Insomma, come diceva Lorenzo Albacete nel suo editoriale di ieri, o patriota o traditore, e l’America sembra piuttosto divisa in proposito.
Dal dibattito emerge anche come sia difficile la collaborazione tra le varie agenzie di sicurezza e intelligence, anzi, ciò che è accaduto spingerà a condividere ancora di meno le informazioni, dato che basta una sola persona per mettere in crisi tutto il sistema. Anche in Italia si parla spesso della mancanza di coordinamento tra le nostre varie polizie, ma Fbi, Cia e NSA sono capaci di tenere di più la scena rispetto alle diatribe tra i nostri poliziotti, carabinieri, finanzieri, e, perché no, forestali e vigili urbani.