Barack Obama sembra aver gettato il dado e ha deciso di fornire armi ai ribelli siriani. La decisione viene presentata dalla Casa Bianca come un tener fede all’impegno preso di considerare come “linea rossa” per il passaggio dall’invio di strumenti difensivi a quello di armi vere e proprie, l’utilizzo di armi chimiche da parte del regime siriano. Secondo Obama vi sono ora sufficienti indizi dell’uso di gas Sarin da parte di Assad per giudicare superata la linea rossa.
Immediata la reazione russa, con il ministro degli Esteri che, in termini diplomatici ma netti, definisce l’affermazione più meno una bufala. Anche il segretario dell’Onu Ban Ki-Moon invita alla prudenza, dicendo che occorrerebbero delle verifiche sul campo, e si dichiara comunque contrario ad inviare armi alle due parti in lotta. Anche negli Stati Uniti, poi, vi è chi nota fastidiose somiglianze con le presunte “armi di distruzione di massa” in mano a Saddam Hussein, che diedero il via alla guerra in Iraq.
L’Amministrazione indica, secondo alcune fonti, in 150 le vittime accertate per l’uso dei gas, un numero infinitesimale, se rapportato alla stima totale di più di 90.000 vittime di questi due anni di guerra. Tuttavia, il divieto dell’uso di armi chimiche è una questione di fondo indipendente dal numero di vittime effettive. Anche qui, però, c’è chi fa notare la stranezza dell’utilizzo “in piccole dosi” di un’arma così dirompente per l’immagine del governo; se, per converso, il regime fosse con la schiena al muro, probabilmente userebbe i gas, ma non certo in piccole dosi.
Un altro problema per il prossimo G8, che potrebbe riservare momenti difficili per Obama in seguito al Datagate, scandalo che pone a rischio la riservatezza dei dati personali dei cittadini non solo americani. Anzi, negli scorsi giorni la linea di difesa di qualche funzionario è stata di assicurare che le informazioni venivano raccolte solo su stranieri. Grosso modo è stata questa la linea anche nel recente dibattito sull’utilizzo dei droni, escludendone l’uso nei confronti dei cittadini americani. Come dire, non tocca a noi proteggere i cittadini degli altri Paesi.
Non proprio il massimo nel momento in cui Obama invita questi altri Paesi alla collaborazione. La proposta di collaborare a rifornire di armi i ribelli siriani è stata fatta, nella videoconferenza di venerdì, a Cameron, Hollande, Merkel e Letta. In attesa di avere la posizione ufficiale in proposito del nostro governo, sono interessanti le reazioni di Cameron e Hollande, finora tra i falchi di un possibile intervento a fianco dei ribelli.
Questa volta, invece, i due sembrano essere più cauti e le ragioni possono essere diverse, come il fatto che le armi si parla potrebbero non essere risolutive, o il timore che cadano in mani sbagliate. Potrebbe, però, aver influito la sensazione che le prove addotte da Obama non siano così consistenti e potrebbero in futuro provocare un “effetto Iraq”, e almeno Cameron ha ben presente quanto l’accusa di aver mentito alla nazione abbia pesato su Blair.
Per Hollande e Cameron sarebbe più semplice continuare con la loro posizione di realismo geopolitico, che li porta, a torto o a ragione, a giudicare positiva la cacciata di Assad, senza nascondersi dietro a motivazioni “etiche”, come l’uso delle armi chimiche. E’ in fondo la posizione dei “falchi” americani, come il Repubblicano John McCain, che vorrebbe armare pesantemente i ribelli, così da finire la guerra in tempi rapidi. Dall’altra parte, non hanno tutti i torti i russi nell’avvertire che un sostegno diretto di Usa e Europa ai ribelli renderebbe impossibile ogni trattativa, a partire dalla programmata conferenza di Ginevra.
Qui Obama rischia di giocare inavvertitamente con il fuoco, perché pare non aver colto appieno il significato di ciò che sta avvenendo in Siria. I lettori del Sussidiario che hanno avuto la pazienza di leggere gli articoli pubblicati sulla Siria e sul più ampio contesto medio-orientale, si saranno resi conto che il vero problema è il futuro assetto della Siria e le sue conseguenze. Il bianco e nero, con o contro Assad, o comportamenti ondivaghi, rendono questo futuro ancor più incerto e non aiutano a fermare il massacro in corso.
Su questo, Obama non sembra avere una strategia chiara, né sembra averla l’Europa, mentre parrebbero avere le idee più chiare i russi. Nel loro appoggio ad Assad vi è certamente il desiderio di sostenere un loro alleato nell’area, ma vi è anche la convinzione che la sua caduta, tutt’altro che certa, sarebbe disastrosa per tutta l’area.
Al contrario, Usa e Europa paiono essere stati presi in contropiede dalla resistenza del regime, dimostrando ancora una volta pochezza di analisi, così come di fronte alle “primavere arabe” e, ora, alla crisi turca.
In più, se c’è un momento in cui muoversi con prudenza, questo è l’attuale, se non altro perché la vittoria di un “moderato” nelle elezioni presidenziali in Iran è un elemento, come ben illustrato da Robi Ronza, che può cambiare notevolmente la situazione nell’’intera area.
L’acciarino e la miccia che possono far saltare tutto sembrano ancora essere distanziati, ma è bene che il Nobel per la pace Barack stia attento a non avvicinarli troppo.