Saipem è di nuovo nella tormenta e non è una bella notizia, perché si tratta di una delle nostre eccellenze. Dal profit warning di venerdì scorso, quando la società ha annunciato una previsione di perdita di circa 300/350 milioni di euro, il titolo ha perso più del 30%. Un crollo simile si era già avuto alla fine di gennaio, quando era stato lanciato un primo allarme sui conti della società in seguito all’apertura delle inchieste per corruzione per tre progetti in Algeria. Nel giugno del 2012, la quotazione si aggirava attorno ai 32 euro, grosso modo la stessa di questo gennaio prima dello scoppio della vicenda algerina, ma aveva toccato punte vicine ai 40 euro nello scorso settembre. Ieri il titolo ha chiuso sotto i 14 euro, con una perdita attorno al 57% rispetto a un anno fa (e allo scorso gennaio).
La maggior parte degli analisti ha ridotto i prezzi obiettivi, segnalando come un fatto piuttosto inusuale, e negativo, l’emissione di due profit warning a distanza di pochi mesi. I target price si aggirano ora attorno ai 16/17 euro, con qualche punta a 21, ma la cosa preoccupante è il consiglio che viene dato di stare alla larga dal titolo, almeno fino a quando si avrà la certezza che non vi saranno altre “scoperte” negative. Per converso, positive sembrano essere le valutazione dei principali concorrenti di Saipem, soprattutto per la francese Technip, il cui portafoglio ordini viene giudicato più equilibrato e meno esposto in aree a rischio, anche se molto meno consistente, rispetto a quello italiano.
E’ quindi probabile un attacco sul mercato da parte della concorrenza per approfittare di questo momento di debolezza del leader nei servizi all’industria petrolifera, un settore di cui si prevede una crescita più limitata per i prossimi anni rispetto a quella consistente del passato. Saipem è in effetti coinvolta in operazioni a rischio più elevato, come quelle effettuate in acque molto profonde e in aree remote, ma anche questo aspetto la rende una punta di eccellenza e la differenzia dalla concorrenza.
La cautela degli analisti è in sé giustificata, dato anche il particolare periodo in cui siamo, ma sembra anche giustificata la fiducia del nuovo management della società in un consistente ricupero di profittabilità nel 2014. Umberto Vergine, amministratore delegato dal dicembre dell’anno scorso, ha attribuito il cattivo andamento previsto per il 2013 alla crisi algerina che, rispetto alla situazione di gennaio si è ulteriormente aggravata, e a un paio di operazioni in Messico e in Canada che, per errori commessi nella loro esecuzione, stanno portando perdite rilevanti non previste. Il responsabile della regione americana è stato sostituito e sospeso in attesa di accertamenti.
Il management sembrerebbe, quindi, intenzionato a compiere una verifica e ripulitura delle operazioni in corso, cercando di evidenziare con trasparenza tutti i “buchi”, e a ristabilire condizioni positive per una ripresa delle attività in aree compromesse, come è il caso dell’Algeria. Inoltre, l’Ad dichiara che il portafoglio ordini non è stato danneggiato e che, anzi, si sono aggiunti lavori a maggiore redditività.
C’è da sperare che queste dichiarazioni reggano alla prova dei fatti e l’attuale tempesta possa essere superata, e non solo in Borsa. Attorno a Saipem il gioco è, infatti, molto più ampio, se non altro perché coinvolge la sua controllante Eni, che detiene il 43% del capitale, con un potenziale conflitto di interessi che, almeno fino a tempi recenti, non ha impedito a Saipem di lavorare a tutto campo, distanziandosi dall’immagine di azienda “interna” a Eni. Sarebbe interessante sapere chi ha più guadagnato da questa interazione e chi perderebbe nel caso di una cessione di Saipem a terzi.
Discorso, questo, tutt’altro che teorico, perché quella dello scorporo di Saipem da Eni è più di un’ipotesi, anche se l’Ad di Eni, Paolo Scaroni, ha dichiarato nello scorso marzo che “non abbiamo fretta di valutare una eventuale cessione. Saipem è un buon investimento e lo resta”. La dichiarazione va vista alla luce della proposta di scorporo arrivata a Scaroni nello stesso marzo da parte dal fondo di investimento Kvam, presente in Saipem, che faceva leva proprio sulla diminuzione di valore borsistico conseguente alla vicenda algerina. Rispetto ad allora, il titolo ha perso un altro 30% e bisogna vedere se Scaroni lo considera tuttora un buon investimento.
Inoltre, Saipem, alla pari di Finmeccanica, altra azienda a partecipazione pubblica scossa dalle azioni della magistratura, è vista da qualcuno come una risorsa da vendere per ridurre il debito pubblico. In tal senso, il crollo di questi giorni potrebbe risultare paradossalmente una difesa della società rispetto a queste ipotesi.
Ecco qui un altro argomento su cui sarebbe interessante conoscere la posizione del nuovo governo e delle forze che lo sostengono, sperando che nessuno pensi di svendere Saipem, o parte di Finmeccanica, per fare cassa. O magari per mantenere qualche promessa elettorale.