La notizia delle dimissioni del primo ministro palestinese, Rami Hamdallah, non può non sorprendere, se non altro perché era stato nominato da appena un paio di settimane. Queste dimissioni non sono solo sorprendenti, ma danno luogo a una certa preoccupazione, perché denotano una situazione instabile all’interno dell’Autorità palestinese che rende ancor più difficile la ricerca della soluzione di una delle più lunghe e drammatiche questioni medio – orientali.

Hamdallah, uno stimato professore presidente dell’università An-Najah di Nablus, era stato nominato il 2 giugno in sostituzione del dimissionario Salam Fayyad, ma il presidente palestinese Abu Mazen gli aveva messo accanto due vice primi ministri con ampi poteri. A quanto pare, sono stati proprio i contrasti con questi due per le loro “invasioni di campo” a causare le dimissioni di Hamdallah.

Interessante sotto questo profilo una tesi che, riporta il Jerusalem Post, circola tra i sostenitori del premier dimissionario, secondo la quale il ruolo attribuito a Hamdallah sarebbe stato solo di facciata, ma le decisioni sarebbero state prese realmente da Abu Mazen e i due vice primi ministri a lui fedeli. Un ormai insanabile contrasto con il presidente palestinese sarebbe all’origine anche delle dimissioni di Salam Fayyad, a sua volta una personalità forte con proprie idee e programmi spesso non coerenti con quelli di Abu Mazen. Inoltre, Fayyad avrebbe anche tentato di porre un freno alla corruzione che rappresenta il maggiore malanno di Al Fatah e che ha dato molta forza al concorrente massimalista Hamas, a Gaza ma non solo.

Una conferma indiretta di queste voci è venuta da un portavoce del Dipartimento di Stato americano che, riporta la Reuters, ha dichiarato che le dimissioni di Hamdallah non avranno riflessi negativi sui colloqui di pace, perché “quando si parla del processo di pace, il nostro interlocutore è il presidente Abbas .”(Mahmud Abbas è il nome anagrafico di Abu Mazen, NdR). Come dire che il primo ministro non conta molto, almeno per le trattative di pace.

I colloqui per la ricerca di una soluzione pacifica tra Palestina e Israele sono fondamentali per l’esistenza dei due Paesi e hanno senza dubbio bisogno di essere portati avanti da una personalità forte. In questo senso, potrebbe essere logico che Abbas avochi a sé questa responsabilità, lasciando al primo ministro la gestione degli altri affari di governo. Tuttavia, la situazione palestinese è talmente intricata da rendere difficile anche questa strada di per sé logica.

Innanzitutto, nonostante il suo ruolo, Abbas non può presentarsi come interlocutore unico da parte palestinese, ma solo come rappresentante di quella parte di palestinesi che si rifanno al suo partito, Al Fatah, e ai suoi alleati. Come è noto, Hamas non ha alcuna intenzione di trattare con Israele, sul cui territorio spara semmai razzi, è ha il controllo completo della Striscia di Gaza, dalla quale ha estromesso Al Fatah con la violenza.

Per Abbas sembrerebbe, quindi, più produttivo presentarsi come garante dell’unità almeno dei palestinesi dei Territori, ma le dimissioni nel giro di poche settimane di due primi ministri, entrambi considerati indipendenti dai partiti, indicano invece una situazione di grave instabilità che nuoce alla causa palestinese.

Né sembra del tutto sostenibile la posizione del portavoce di John Kerry, perché questa instabilità indebolisce anche Abbas e rischia di rafforzare i falchi israeliani e coloro che cominciano a mettere in dubbio l’opportunità, e non solo la probabilità, di mettere in atto la teoria dei due Stati in Palestina. Potremmo avere qui un’altra prova della disattenzione dell’Amministrazione Obama nei confronti di questa questione. Come ha fatto notare qualcuno, John Kerry, nominato Segretario di Stato lo scorso dicembre, ha fatto in questi pochi mesi forse più viaggi in Medio Oriente di quanti non ne abbia fatti Hillary Clinton nei quattro anni del suo mandato.

L’interim di Hamdallah in attesa della nomina del suo successore può durare, a norma di legge, solo due settimane e poi sapremo forse qualcosa di più sulle direttive del nuovo governo. Secondo alcune voci, Abbas starebbe pensando a un possibile governo di unità nazionale composto da tecnici indipendenti, se i colloqui di pacificazione con Hamas andassero a buon fine.

Per una volta, noi italiani potremmo diventare un caso di scuola, se Abbas si mettesse a studiare l’esempio del nostro governo tecnico sostenuto da una grande coalizione. Per evitarne i risultati, si intende.