L’Ecofin, cioè i ministri delle Finanze dei 27 Paesi dell’Ue, ha annunciato il varo di un progetto per evitare, sostanzialmente, che i problemi finanziari delle banche siano pagati in prima istanza dai contribuenti, come successo finora. Di per sé è una notizia epocale, perché significherebbe la fine della salvaguardia statale delle banche, e in particolare dal mantra “troppo grandi per fallire”. Ma è proprio così?

Le diverse posizioni dei governi hanno portato a discussioni molto accanite e l’esito è stato un compromesso, anzi, un “buon compromesso” come dichiarato dai ministri, cioè, credo, l’unico possibile pur di arrivare a una qualche conclusione. Questa volta, accanto alle solite diatribe tra i “virtuosi” paesi del Nord e i “periferici”, vi è stata una notevole divergenza tra Francia e Germania, un canovaccio che sta diventando sempre più frequente.

Tra i ministri vi era un accordo generale perché, prima di ricorrere a capitale pubblico, fossero i privati coinvolti nella banca in difficoltà a intervenire nel suo risanamento, ma vi erano divergenze su chi coinvolgere, e a che livello, e sull’opportunità di lasciare una certa flessibilità ai singoli governi, cosa che stava per traverso soprattutto alla Germania, timorosa del lassismo dei “meridionali”.

L’accordo prevede che chi ha investito nella banca si faccia carico della perdita fino all’8% degli attivi dell’istituto. Il successivo intervento del fondo statale di liquidazione bancaria dovrà essere limitato al 5% degli attivi e l’utilizzo del Meccanismo europeo di stabilità (Esm) sarà soggetto a condizioni molto precise. I governi dovranno costituire fondi di liquidazione bancari pari allo 0,8% del totale dei depositi garantiti.

Opportunamente, gli investitori non vengono messi tutti sullo stesso piano: i primi a contribuire saranno gli azionisti, poi gli obbligazionisti non garantiti, poi gli altri obbligazionisti. Da ultimi dovranno concorrere anche i depositanti, esclusi i depositi garantiti, cioè fino a 100.000 euro. L’accordo prevede un’altra serie di adattamenti, ma quanto esposto dovrebbe bastare per alcune considerazioni iniziali.

Innanzitutto la tempistica. L’accordo dovrebbe entrare in vigore dal 2018, ma si fa notare che default bancari sono possibili, se non addirittura probabili, già dall’anno prossimo, vista la crisi perdurante. È logico pensare che questi casi saranno trattati come è stato fatto finora, cioè con l’intervento pubblico, quindi sembrerebbe un’iniziativa per un futuro piuttosto lontano, destinata a rimanere ancora per qualche anno solo una petizione di principio.

L’esempio concreto da cui l’Ecofin è partito è quello di Cipro e diversi commentatori hanno ricordato la proposta, all’epoca molto criticata, del ministro delle Finanze olandese, Jeroen Dijsselbloem, di estendere il modello cipriota ad altre situazioni. Evidentemente c’è stato un ripensamento, ma sarebbe interessante capire a cosa dovuto. Viste le posizioni di Germania, Olanda e compagni, il sospetto è che si voglia mettere al riparo innanzitutto i propri contribuenti, oppure avere un controllo diretto più ferreo sulle banche degli altri paesi, posizione non gradita a Francia, Gran Bretagna e altri Stati. Non a caso, in Germania il progetto è stato criticato, perché attraverso l’intervento dell’Esm i contribuenti tedeschi verrebbero comunque coinvolti pro quota.

Tuttavia, il punto di partenza rimane valido, là dove coinvolge azionisti e obbligazionisti, chiamati a riparare le perdite della banca in cui hanno investito, come accade agli investitori per tutte le altre imprese. Meno chiaro è il coinvolgimento dei depositanti, cioè dei clienti delle banche, e infatti si parla di altre differenziazioni, oltre quella relativa ai depositi garantiti, per esempio per i depositi di istituzioni, come altri istituti finanziari o fondi pensioni, le cui perdite potrebbero innescare crisi sistemiche.

Sarà interessante vedere come verranno distinti i depositanti “buoni”, esentati, da quelli “cattivi”, chiamati invece a partecipare alle perdite. Forse i ministri avevano in mente i “cattivi” russi clienti delle banche cipriote, ma sembra non abbiano calcolato il possibile effetto di questa proposta sulla raccolta bancaria, già in affanno per molte banche. Francamente, sembra un ballon d’essai. Tanto più che il progetto dovrà essere approvato, entro la primavera del 2014, dal Parlamento europeo per diventare esecutivo, sia pure nel 2018, e il suo passaggio non sarà facile.

Un altro aspetto che, a meno sia sfuggito a questa prima lettura, non viene preso in carico è il motivo delle perdite della banca e le conseguenti responsabilità. Nei casi in cui le difficoltà provengono non da cattiva gestione, ma da situazioni di mercato, il progetto porrebbe le banche sullo stesso piano delle altre aziende, ma nel caso di gestione incapace o azzardata si dovrebbero anche perseguire i responsabili di tale gestione, cosa finora raramente avvenuta. In tal caso, i depositanti sarebbero parte lesa, non corresponsabili.

Rimane la sensazione che non si voglia affrontare la questione di fondo, cioè la natura del tutto particolare della banca, ma soprattutto che non si voglia ripristinare la netta separazione tra la pura gestione del credito, cioè la raccolta di depositi e il loro impiego per finanziare imprese e famiglie, e le banche d’affari, che investono in prodotti finanziari i capitali raccolti a tale scopo e che dovrebbero essere comunque escluse dall’intervento pubblico. La natura dei rischi, la loro valutazione, le modalità di gestione e la tipologia dei controlli sono nei due casi molto diversi.

A chi conviene continuare a giocare con il fuoco, tenendo insieme entità che dovrebbero essere rigorosamente separate, nell’interesse della collettività?