Anche se è ancora in via di accertamento l’entità reale di quello che ormai viene definito il disastro ambientale dell’Ilva, non credo vi siano dubbi che i danni all’ambiente e alla salute vi siano e non siano marginali. Così come, pur trovandoci ancora in una fase di accertamento giudiziario, non sembra che la gestione della famiglia Riva sia stata all’altezza di quanto necessario per evitare questi danni.



L’atteggiamento un po’ giacobino della Procura e del Gip di Taranto hanno portato a uno scontro con il precedente governo fino ai massimi livelli istituzionali, scontro che sarebbe stato bene evitare e che si è risolto con un sostanziale rigetto delle tesi della magistratura inquirente. Il recente decreto del governo con cui l’Ilva viene commissariata sta dando luogo a uno scontro tra le parti politiche, altrettanto deprecabile, visto che servirebbe invece un fronte comune tra politica, magistratura e impresa per risolvere gli immani problemi concreti.



Il capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta, ha fortemente criticato il decreto, esprimendo dubbi sulla sua costituzionalità perché porterebbe di fatto all’esproprio dell’azienda. A quanto pare, alcuni passaggi del decreto sono stati modificati in Consiglio dei ministri e, comunque, il ministro Zanonato ha decisamente esclusa ogni eventualità di esproprio dell’Ilva.

Anche Federacciai ha accusato il decreto di stabilire un pericoloso precedente, che consentirebbe di commissionare ogni fabbrica di interesse nazionale per presunte violazione dell’Aia (Autorizzazione ambientale integrata) ancora nella fase investigativa prima di una sentenza. Sarebbe bene che il governo chiarisse questo punto, anche per evitare dannosi sequestri preventivi che poi vengono sconfessati dalla magistratura, come nel recente caso Nomura-Mps. Tra l’altro, uno degli effetti del decreto sull’Ilva è proprio la possibilità di utilizzare gli 8 miliardi di euro sequestrati dal Gip.



Al di là degli aspetti prettamente giuridici, mi pare un po’ eccessiva l’accusa di esproprio surrettizio dell’Ilva. La situazione a Taranto sembra abbastanza grave e complessa da non ritenere così azzardata l’ipotesi di commissariamento. Il commissario straordinario è a tempo, rinnovabile per tre periodi di dodici mesi ciascuno, ed è stato nominato Enrico Bondi, fino a ieri Ad nel Cda dimissionario dell’Ilva, proprio come segno di continuità di gestione.

Bondi non è responsabile della gestione passata dell’Ilva, essendo stato nominato lo scorso aprile, tuttavia era in carica al momento della cosiddetta legge “salva Ilva”, che prevedeva tutta una serie di adempimenti. Qualche giorno fa, il ministro per l’Ambiente, Andrea Orlando, ha denunciato enormi ritardi nell’attuazione di questi provvedimenti, ha parlando addirittura di una realizzazione al 20%. Quali sono le ragioni di questi ritardi: sono stati imposti tempi troppo rigidi, i Riva non hanno messo sufficienti soldi, inefficienza gestionale, impedimenti amministrativi? Saperlo è essenziale per poter rimuovere le cause dei ritardi e anche per stabilire se Bondi è la persona più adatta a gestire l’accelerazione dei processi.

Come sottolinea Francesco Forte nella sua recente intervista a ilsussidiario.net, Bondi sa fare molto bene il liquidatore, come ha dimostrato con Parmalat, ma non è detto che sia adatto alla gestione di una questione complessa come l’Ilva. Forte pone anche alcune domande che sembrano essere state messe sotto silenzio. I problemi dell’Ilva non sono nati l’altro ieri, ma datano da lungo tempo, probabilmente fin dai tempi della privatizzazione della società siderurgica nel 1995, e non credo risolutivo porre tutto a carico dei Riva.

Forte si chiede dove erano Confindustria e sindacati, per non parlare della politica locale, tutti quelli che ora si agitano sul proscenio. La regione ha grande responsabilità proprio nel settore della salute, se non erro, e sarebbe interessante conoscere le azioni intraprese da Salvatore Distaso, Raffaele Fitto e Nichi Vendola, che si sono succeduti nella carica di presidente della Puglia dal 1995 a oggi. E anche se e come sono intervenuti i ministri per l’Ambiente di quegli anni: i Verdi Ronchi e Pecoraro Scanio, il Pd Willer Bordon, i PdL Matteoli e Stefania Prestigiacomo. Corrado Clini, ministro con il governo Monti, se ne è dovuto occupare e lo si può considerare il padre del “salva Ilva”.

La stessa domanda andrebbe fatta ai sindaci che si sono succeduti al governo della città e, come già detto, ai sindacati, locali e nazionali. Se hanno sollevato il problema, come è pensabile, a chi lo hanno sottoposto e che risposte hanno ottenuto? E gli organi di controllo, a partire dalle Asl? Non si tratta di far partire una caccia al colpevole, ma di smettere di parlare per categorie, politici, imprenditori, lavoratori, magistrati, etc., e ricordare che la responsabilità è personale.

Altrimenti, come al solito, aspettiamo che “arrivino i nostri”: i magistrati a punire chi si fa prendere e i contribuenti a pagare i conti. In attesa del prossimo caso, e all’orizzonte ve ne sono diversi.

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