Credo valga la pena di ritornare sul discorso di Barack Obama all’assemblea di Planned Parenthood (PP), organizzazione no profit apertamente schierata in favore dell’aborto. In tutto il suo discorso, anch’esso apertamente in favore dell’aborto, Obama non aveva mai usato esplicitamente questo termine, sostituito dalla parola “scelta”.

Per Obama l’aborto è un diritto costituzionale acquisito, dopo la sentenza della Corte Suprema di 40 anni fa, la ormai famosa (o malfamata) Roe v Wade, che ha liberalizzato l’aborto come diritto “privato” della donna, ritenuto inalienabile, cui i singoli stati possono solo mettere limiti per precisi motivi. E’ il caso del cosiddetto principio di “viability”, cioè la proibizione dell’aborto “on demand”, cioè libero, quando il bambino può sopravvivere al di fuori dell’utero materno, limite che è stabilito normalmente tra le 20 e le 24 settimane.

A tal proposito ecco cosa dice Obama: “Quarantadue stati hanno introdotto leggi che cancellano o limitano gravemente il diritto della donna di scegliere”. Cita a tal proposito la contraccezione che accosta, come in altri passi del discorso, alla prevenzione dei tumori. Coerentemente peraltro, perché l’aborto per lui non è solo un diritto civile (umano?), ma è anche un metodo di prevenzione di una ben precisa malattia: una gravidanza indesiderata o che è diventata tale.

Per togliere ogni dubbio, cita la legge cosiddetta del “battito del cuore” votata lo scorso aprile dal North Dakota, che accusa di mettere fuori legge “il vostro diritto a scegliere, cominciando addirittura da sei settimane, anche se una donna è stata stuprata. A sei settimane una donna può perfino non sapere di essere incinta”. Di nuovo quello che per il Presidente è il punto fondamentale: una intollerabile violenza al diritto di scelta della donna, costretta a subire la proibizione di abortire, ancora prima di sapere qual è la sua situazione. E questo solo perché si è dimostrato oggettivamente che c’è un essere vivente dentro di lei!

E’ assurdo. E’ sbagliato. E’ un attacco ai diritti delle donne”, continua Obama e aggiunge: “Quando si legge di qualcuna di queste leggi, viene voglia di controllare il calendario, per essere sicuri di vivere ancora nel 2013.” Risate del pubblico, ci informa il verbale.

Obama cita più volte il diritto alla contraccezione, al centro di uno scontro con l’episcopato cattolico, e non solo. Infatti, lo “HHS mandate”, il decreto di attuazione della riforma sanitaria, impone l’assicurazione dei metodi contraccettivi, e abortivi, anche a organizzazioni religiose, in quanto datori di lavoro. Tra poco scade la moratoria di un anno con cui Obama ha cercato di giungere a un accordo, ma nel discorso a PP sembra avere chiuso l’argomento e possiamo quindi aspettarci la ripresa dello battaglia in nome della libertà religiosa da parte della Conferenza episcopale.

Appare ora molto chiara la definizione “pro-choice” (per la scelta), una concezione che va molto al di là dell’aborto, dato ormai per scontato. Anche la contraccezione viene considerata una battaglia di retroguardia dei vescovi e si fa notare che ormai la maggioranza dei cattolici usa contraccettivi. Ci si potrebbe chiedere se la contraccezione deve essere sovvenzionata dallo Stato al pari della prevenzione di tumori, ma vale quanto già detto. C’è solo da notare che molti datori di lavoro saranno lieti di coprire i costi della contraccezione, in fondo anche una dipendente in maternità costa…

Questa ideologia della “scelta”, per cui il poter fare di sé ciò che si decide di voler fare è costituito come un diritto personale inalienabile, sta caratterizzando altre “battaglie civili”, come i matrimoni gay, l’eutanasia, il suicidio assistito, nelle quali vengono inseriti altri principi, come quello della non discriminazione. Un esempio che sta assumendo toni paradossali è quello del “gender”.

Quelli che si ostinano a vivere nel passato continuano a pensare che i sessi siano due, maschio e femmina, al massimo concedendo che non sempre le cose sono poi così definite. Nel 2013, per dirla all’Obama, si è molto più precisi e si parla invece di LGBT, lesbiche, gay, bisessuali, transessuali. In realtà, anche questa classificazione è sembrata limitare il diritto di scelta ed è stata trasformata in LGBTQ, dove Q sta per queer o questioning cioè chi ha una situazione incerta o ancora in discussione. In nome della non discriminazione, nelle università vi sono dei responsabili per gli studenti che si sentono tali, anche in università cattoliche. D’altra parte, servizi per gli LGBT esistono anche da noi, per esempio al Comune di Torino.

Parlavo prima di toni paradossali avendo in mente quanto successo in Massachusetts, dove il Parlamento locale ha vietato nelle scuole pubbliche ogni discriminazione basata sul sesso, meglio, sul “gender”. In base a questa legge, gli studenti possono usare spogliatoi e bagni non secondo il loro sesso anatomico, ma secondo il”gender” cui si sentono di appartenere; la stessa cosa per gli sport e altre attività, in cui è vietata ogni distinzione che non si basi sul “gender” così come soggettivamente percepito.

La regolamentazione, peraltro, lascia aperta la possibilità che per alcune attività, o lungo il tempo, lo studente (l’articolo “lo” è ovviamente da considerare neutro, non maschile) possa scegliere di sentirsi di genere diverso, e anche questo cambiamento di scelta non può essere naturalmente censurato.

Faremo bene a ricordare la lunga e decisa battaglia di Benedetto XVI contro il relativismo e riprendere in mano i suoi scritti e discorsi, prima cha anche noi si venga travolti da questo nuovo perbenismo conformista.