Il Tribunale di Milano ha condannato la Saipem a una multa di 600mila euro e alla confisca di 24,5 milioni per corruzione internazionale in Nigeria sulla base della legge 231 del 2001, che rende responsabili, accanto alle persone direttamente coinvolte, anche gli enti che hanno oggettivamente tratto vantaggio dagli atti di corruzione. La cifra di 24,5 milioni di euro, già accantonati dalla Saipem nel 2011 dopo la richiesta dei Pm, sembrerebbe essere la differenza tra il profitto illecito della società, stimato in 65 milioni, e l’importo già versato alla Nigeria come risarcimento.
Per i cinque manager accusati dello stesso reato è invece scattata la prescrizione. Infatti, gli atti di corruzione ascritti non sono recenti, ma si sarebbero verificati nel corso di un decennio, dal 1995 al 2004; la sentenza di primo grado è arrivata più di otto anni dopo. La difesa della Saipem ha annunciato ricorso, dopo che saranno rese note le motivazioni della sentenza.
L’azienda coinvolta all’epoca era la Snamprogetti Netherlands BV, società dell’Eni, confluita poi in Saipem, che faceva parte con il 25% del consorzio Tskj per la costruzione di impianti di liquefazione del gas a Bonny Island, nel sud della Nigeria. Gli altri componenti del consorzio erano una consociata dell’americana Halliburton, la francese Technip e la giapponese Jgc. Per ottenere l’appalto, il consorzio avrebbe pagato tangenti per 180 milioni di dollari a politici e funzionari nigeriani, quindi circa il 3% dell’intero valore dell’operazione, stimato in 6 miliardi di dollari.
La Saipem ha dichiarato che non vi sarà nessun impatto finanziario sulla società, anche perché nell’accordo di cessione della Snamprogetti vi è l’impegno dell’Eni a indennizzare le eventuali perdite derivanti dall’operazione. In Borsa, il titolo ha effettivamente subito un calo alla notizia della sentenza, ma sembra già essersi ripreso.
La nostra magistratura arriva dopo quella degli altri paesi, almeno di Francia e Stati Uniti. Anche in Francia esiste dal 2000 una legge simile alla nostra, per la quale sono stati condannati all’inizio di quest’anno due intermediatori. Tuttavia, la Technip è stata perseguita negli Stati Uniti in quanto quotata per alcuni anni negli Usa e, nel 2010, ha concordato una multa di 240 milioni di dollari, più un’altra di 98 milioni comminata dalla SEC, l’Autorità di Borsa americana.
Anche gli Stati Uniti, nel 2010, sulla base del loro Foreign Corrupt Practices Act hanno comminato alla KBR, la società Halliburton partner del consorzio, una multa di 402 milioni di dollari, cui si è aggiunta la multa di 177 milioni della Sec. Nel 2012, il chief executive dell’epoca è stato condannato a due anni e mezzo di carcere. Secondo la stampa americana, nel 2010 anche Eni ha pagato una multa di 240 milioni di dollari al Dipartimento di giustizia, più altri 125 alla SEC.
Da parte sua, la magistratura nigeriana ha intentato causa alla Halliburton e a nove suoi dirigenti, tra cui Dick Cheney, diventato nel frattempo vicepresidente degli Stati Uniti con George Bush. La causa si è risolta nel 2010 con il pagamento da parte degli americani di 250 milioni di dollari. Come già detto, anche Eni ha pagato 32,5 milioni di dollari allo Stato nigeriano. Se si considerano le multe comminate negli Stati Uniti, si tratta dell’importo più elevato in base al Foreign Corrupt Practices Act, pari a 1,28 miliardi di dollari. E potrebbe non essere finita, perché le autorità giudiziarie americane non hanno ancora chiuso il caso.
Tutto questo porterà a una nuova era di onestà negli affari internazionali, o finirà come da noi con Mani Pulite? Per intanto, la nostra grande stampa potrebbe segnalare che i tanto ammirati stranieri si comportano, in realtà, come noi, con perfino un vicepresidente sotto accusa per corruzione. Come si diceva una volta: tutto il mondo è paese!