Caro Direttore, la votazione sulla sfiducia ad Angelino Alfano ha dimostrato ancora una volta come il governo Letta sia un’ultima spiaggia da cui una consistente maggioranza di politici e, soprattutto, parlamentari, non trova conveniente allontanarsi. Ci si può aspettare, di conseguenza, una decisa azione da parte del governo, almeno su alcuni punti fondamentali di fronte all’attuale crisi e sui quali vi è, almeno nominalmente, un accordo di principio nella maggioranza parlamentare. Proviamo ad elencarne alcuni.
Bicameralismo perfetto
L’eliminazione del bicameralismo perfetto, praticamente un unicum italiano, può essere definita la “riforma madre”, che ha trovato in passato concordi tutte le principali forze politiche. Il governo dovrebbe farsi parte attiva perché il Parlamento inizi al più presto a discutere ipotesi di riforma della Costituzione in tal senso.
Riforma madre, perché porterebbe a una revisione radicale del processo legislativo, con un potenziale significativo incremento di efficienza, per la maggiore rapidità e chiarezza nell’approvazione delle leggi.
Da essa possono poi discendere ulteriori riforme, a partire dalla legge elettorale, da ridisegnare sulla base del nuovo assetto. L’istituzione del Senato regionale comporterebbe la necessità di rivedere e definire i compiti delle Regioni e i loro rapporti con lo Stato centrale, dando un nuovo e più coordinato impulso al decentramento territoriale. In questo ambito, potrebbe essere finalmente applicata la legge sul federalismo fiscale, aprendo a una gestione più efficiente ed efficace della fiscalità centrale e locale, con potenziale riduzione della complessiva pressione fiscale.
Costi della politica
Dalla citata riforma deriverebbero, accanto ai notevoli risparmi derivanti dalla aumentata efficienza dell’attività legislativa, quelli determinati dalla consistente diminuzione dei parlamentari che la riforma comporterebbe.
L’attuale governo ha ricominciato a parlare di revisione dei costi dei politici, parte dei costi della politica, ma la presenza al suo interno di Enrico Giovannini dovrebbe porre qualche dubbio. Il professor Giovannini, come presidente dell’Istat, ha presieduto la commissione che da lui ha preso nome, incaricata dal governo Berlusconi di condurre un’analisi comparata degli emolumenti dei parlamentari in Europa, al fine di valutare il livello dei compensi dei nostri parlamentari. La commissione finì per rinunciare all’incarico per l’impossibilità a svolgere il proprio compito dati i limiti posti dalla stessa legge istitutiva.
Senza tante inutili commissioni, il governo dovrebbe proporre ai parlamentari di considerarsi solo come cittadini che svolgono un lavoro particolarmente importante e delicato, come lo sono, ad esempio, quelli di un dirigente di grande azienda o di un chirurgo altamente specializzato. Quindi, ricompensato adeguatamente, ma senza tutte quelle condizioni “speciali” e privilegi che rendono i politici una Casta agli occhi dei concittadini, ad onta del loro costante richiamo alla “missione “ e al “servizio”.
Province e comuni
Come ampiamente prevedibile, la sbilenca riforma delle province del governo Monti è stata dichiarata incostituzionale; né è così certo che l’eliminazione delle province porti a un miglioramento di efficienza e a una riduzione dei costi. Senza imbarcarsi in una riforma costituzionale, il governo potrebbe avviare una riduzione del numero dei comuni, accorpando quelle centinaia di minicomuni che non trovano ormai più giustificazione, a parte un esasperato campanilismo. Potrebbe anche rivedere la congerie di altre strutture territoriali, consorzi, associazioni di comuni,comunità montane, etc., verificandone la effettiva necessità.
Da un po’ di tempo non si sente più parlare di enti inutili, ma non credo sia perché il problema è stato definitivamente risolto e sarebbe opportuna una verifica da parte del governo. Mi rendo conto che tutti questi ultimi temi possono sembrare di banale amministrazione, ma è proprio occupandosi di questa che, paradossalmente, un governo italiano potrebbe passare alla storia.
Crediti delle imprese
Insieme alla riforma del bicameralismo perfetto, il rapido pagamento dell’assurdo cumulo di debiti della PA verso le imprese è in cima all’ordine delle priorità. Letta si è impegnato a iniziare il pagamento dell’enorme arretrato, ma le esperienze dei precedenti governi hanno dimostrato come la vischiosità del sistema sia in grado di annullare ogni attività governativa in proposito.
L’unico modo per superare questo ostacolo è di stabilire procedure con forti gradi di automatismo, come per esempio la compensazione tra crediti e debiti verso lo Stato. Questo principio è attualmente sottoposto a parecchi limiti e rappresenta uno degli elementi che rendono il nostro sistema fiscale iniquo.
Le imprese creditrici verso la PA ancora sul mercato, anche se magari in perdita, devono comunque pagare una serie di imposte, come l’IVA, e di contributi, come quelli Inps e Inail. La loro compensazione con i crediti accertati renderebbe automatico, seppur per rate, il loro recupero, fornendo immediatamente risorse alle imprese.
Se questa misura divenisse permanente consentirebbe di evitare l’accumulo dei crediti anche per il futuro. Letta dovrebbe comunque mettere in atto il piano di rientro previsto, perché la misura ipotizzata non risolverebbe totalmente il problema, costituendo per di più situazioni disomogenee tra le imprese a seconda dell’entità dei debiti e dei crediti.