La lettura di commenti come quello di Grillo alla decisione della Corte Costituzionale sul decreto di accorpamento delle province provoca un moto a favore di questa istituzione, anche a chi vi fosse contrario. Ed è proprio questo il punto. Come ogni volta che non si vuole affrontare seriamente un problema, si creano due tifoserie l’una contro l’altra armata e si dà così l’addio a ogni discussione seria.
Non era serio, infatti, risolvere un problema costituzionale con un decreto legge, e solo un comico può scandalizzarsi per la sentenza della Corte, né era serio raggruppare le province senza tener nessun conto della situazione reale e storica, un po’ alla stregua delle vecchie potenze coloniali quando creano Stati tracciando linee rette sulla carta geografica.
L’attuale governo sembra voler ritornare sul problema semplicemente eliminandolo, cioè eliminando le province. In nome di cosa? Risparmi? Chi ha provato a fare analisi sui dati è arrivato a conclusioni non molto positive in tal senso. Semplificazione istituzionale? La Regione Sicilia ha già decretato la fine delle province, ipotizzandone la sostituzione con un numero ancora maggiore di enti intermedi, e altri potrebbero seguire l’esempio.
La tesi ufficiale è che i compiti attuali delle province verrebbero ripartiti tra regioni e comuni. Tuttavia, proprio l’incertezza nella divisione dei poteri tra amministrazione centrale e regioni ha già portato a una notevole quantità di contenziosi, ed è facile prevedere il crearsi di una situazione simile tra regioni e comuni. Inoltre, come fatto giustamente notare da Giulio Salerno, alla provincia è collegata una serie di enti periferici dello Stato centrale, il che pone ulteriori problemi. La cosa che colpisce è che apparentemente nessuno mette in discussione l’altro ente territoriale amministrativo, il comune. Il fatto che in Italia vi siano più di 8000 comuni, di cui circa 2000 sotto i 1000 abitanti, non pare destare nessun problema, come se questa dispersione e frammentazione non fosse fonte di notevoli inefficienze.
L’esistenza di piccoli e piccolissimi comuni (circa 130 sono sotto i 150 abitanti) aveva senso quando si viaggiava a piedi o a dorso di mulo, ma non nell’epoca della motorizzazione spinta e di internet. D’altra parte, che questa struttura sia inefficiente lo dimostra il proliferare di consorzi e altre aggregazioni di comuni, con incremento di organici e di spesa che, credo, potrebbe essere evitato, almeno in parte, con il ridimensionamento dei comuni. Insomma, la Costituzione “più bella del mondo” ha un urgente bisogno di essere rivisitata, ma questo non vuol dire che la si debba assalire a colpi di machete, soprattutto in un’area così delicata come quella dei livelli istituzionali e territoriali, che in Italia sono la sedimentazione di secoli di storia. Anche la strutturazione degli enti territoriali va rivista alla luce del riassetto di tutto il sistema istituzionale, a partire dalla eliminazione di quella perniciosa anomalia che è il perfetto bicameralismo. La revisione del sistema bicamerale attuale, secondo un progetto apparentemente condiviso dalla maggioranza delle forze politiche, porterebbe alla costituzione di un Senato delle Regioni che necessiterebbe di una soluzione definitiva dei rapporti Stato-Regioni, con riflessi a cascata sugli altri enti amministrativi. Sotto questo profilo, suggerimenti interessanti potrebbero venire dall’assetto istituzionale tedesco. Questa revisione, certo molto più impegnativa delle semplici cancellazioni, porterebbe a una struttura di tutta l’amministrazione pubblica decisamente più efficiente e meno costosa, fornendo l’opportunità di eliminare incrostazioni accumulatesi nel corso dei decenni e ora assolutamente inutili. Sarebbe anche l’occasione per riprendere in mano la legge sul federalismo fiscale, strumento che potrebbe diventare molto più utile, se ben usato, di qualsiasi velleitaria spending review. L’ampia maggioranza che in Parlamento sostiene l’attuale governo ha tutti i numeri, si spera anche qualitativi, per portare a termine questa riforma. Se non lo fa, condanna non solo il Paese, ma anche se stessa.