“Rcs è strategica, altrimenti non avremmo investito tanto”. Questa affermazione un po’ tautologica di Sergio Marchionne, sotto la sua apparente banalità nasconde una fitta serie di questioni. Intanto sottolinea che l’investimento è cospicuo, nonostante la Rcs sia un’azienda dal futuro problematico e per di più in una fase decisamente critica del mercato in cui opera la Fiat. Marchionne anticipa la risposta a questa possibile obiezione dichiarando che si tratta di un investimento strategico, ma aprendo così alla domanda essenziale: strategico per chi? Se non ricordo male, qualche anno fa a una domanda simile Marchionne rispose, grosso modo, che la Fiat fa automobili, non giornali, e automobili mi sembra continui a fare, sia pure con qualche difficoltà.
Almeno dal di fuori, risulta difficile individuare spazi di integrazione, orizzontale o verticale, che possano far definire strategico un tale investimento. Anche perché ci si potrebbe aspettare che l’azienda torinese concentri tutti i suoi sforzi sull’acquisizione di ulteriori quote in Chrysler, questa sì una questione strategica fondamentale, come lo stesso Marchionne ha riconfermato in questa occasione. Dato il progressivo spostamento negli Stati Uniti del centro degli interessi Fiat, si sarebbe potuto considerare strategico, forse, un investimento nel New York Times, ma il Corsera è rilevante solo in Italia, un Paese ancora importante per la Fiat, ma soprattutto per ragioni “affettive”.
Contemporaneamente alla dichiarazione di Marchionne, Gianluigi Gabetti, presidente onorario di Exor, ha affermato che “John ci sa fare, Rcs è in buone mani”, dando così la vera chiave di lettura dell’intera operazione, che è in effetti strategica, ma per la famiglia Agnelli, non per la Fiat. Riesce infatti difficile vedere l’apporto fondamentale di John Elkan al risanamento dell’azienda che suo nonno, l’Avvocato, aveva portato al fallimento, nonostante i massici aiuti pubblici, cioè dei contribuenti. Se la Fiat si è salvata e può ora giocare un ruolo sul piano internazionale, sia pure tra mille difficoltà e in modo ancora non completamente saldo, ciò è merito di Sergio Marchionne; agli Agnelli si può attribuire tutt’al più il merito di averlo lasciato fare.
È probabile che Elkann sappia molto di più dell’azienda editrice della Stampa, per la quale l’investimento in Rcs è del tutto strategico, data la possibilità di fusione dei due quotidiani, che darebbe luogo a un vero leader nella stampa nazionale, senza dimenticare la Gazzetta dello Sport. Sembrerebbe questo il nuovo vero interesse della Famiglia, tenendo conto che Elkan è recentemente entrato nel cda della News Corp di Rupert Murdoch.
Tutto bene, se la Fiat fosse degli Agnelli, ma la Fiat non è degli Agnelli, anche se costoro cercano di farlo credere e, evidentemente, ci sono in parte riusciti. La Famiglia è solo il socio di maggioranza relativa, ai limiti del 30%, per mantenere la quale senza incorrere nell’obbligo di una costosa Opa, ha condotto una operazione, l’equity swap del 2005, che ha portato alla condanna in Appello del suddetto Gianluigi Gabetti e dell’ex presidente dell’Ifil, Franzo Grande Stevens.
In questa operazione erano disastrosamente coinvolte diverse banche, tra cui quella guidata da Giovanni Bazoli, tuttavia ora al fianco degli Agnelli nella presa di controllo di Rcs. Gli altri azionisti importanti sembra si stiano defilando con discrezione, in osservanza delle tacite regole di bon tonche vigono nei cosiddetti salotti buoni. L’unica voce che si oppone con decisione è quella di Diego Della Valle, cioè di un parvenu nel citato salotto, che ha proposto lo scioglimento del patto sociale, di cui non fa parte, e una ridiscussione del piano industriale.
Con la Fiat al 20 % la proposta di Della Valle, l’imprenditore marchigiano noto per le Tod’s, oltre che per la Fiorentina e gli interventi di restauro al Colosseo, ha poche probabilità di essere accolta. Ed ecco la mossa a sorpresa della lettera inviata ieri al Presidente della Repubblica, al quale Della Valle chiede di intervenire a sostegno della sua idea che i grandi azionisti, a partire da lui stesso, facciano un passo indietro per evitare che un importante organo di stampa diventi strumento di pressione al servizio di qualcuno: trasparente il riferimento agli Agnelli.
D’altra parte, qualche giorno fa lo stesso Della Valle aveva rilasciato dichiarazioni indignate alla notizia che John Elkan aveva telefonato a Napolitano, per informarlo dell’intenzione di salire al 20% in Rcs. Mister Tod’s aveva definito la cosa “una sceneggiata da Istituto Luce”, con esplicito riferimento alla propaganda di Mussolini. C’è da chiedersi se la Rcs valga veramente scontri così incandescenti e se, con tutti i problemi che abbiamo, chi comandi al Corsera sia una questione di interesse del Capo dello Stato. Mi auguro che Napolitano stia fuori da queste “baruffe chiozzotte” di una imprenditoria che sembra non aver più nessuna coscienza del proprio ruolo.
Sarebbe bene che ne stesse fuori anche la Fiat e che Marchionne, vista la sua indubbia autorevolezza da quelle parti, convincesse la Famiglia a scorporare Stampa e Rcs, facendosene carico in proprio, lasciando che la Fiat faccia il suo mestiere. Ma è una speranza vana, perché significherebbe per gli Agnelli investire soldi propri, il che non si è (quasi) mai visto.