Qualche giorno fa, su Ilsussidiario.net, Gianni Gambarotta si chiedeva se non fossero opportune le dimissioni di Franco Bernabé da Telecom e di Roberto Colaninno da Alitalia, visti i risultati raggiunti sotto la loro gestione. Credo che ci si possa porre la stessa domanda per i vertici dei soci finanziari di Telco, chiedendo loro almeno conto delle ragioni alla base di queste operazioni e delle perdite che hanno causato.
Quanto a Mediobanca, l’investimento rientra negli scopi istituzionali, anche se il management dovrà rispondere delle perdite, ma non si può sempre guadagnare. Più che le motivazioni dell’entrata in Telecom, qui la domanda potrebbe essere perché ne escono adesso, proprio nel momento in cui qualcosa si sta muovendo e si intravvede la prospettiva di un possibile recupero.
La domanda sulle ragioni della presenza di Generali in Telco andrebbe posta ai manager passati, dato che l’attuale management ha fermamente dichiarato di voler concentrare gli investimenti nel proprio settore di pertinenza. Decisione che è stata confermata anche nel caso di RCS-Corsera.
Per Banca Intesa, la domanda va al management attuale, che non presenta soluzione di continuità negli alti vertici, e riguarda non solo Telco ma, tra altri, RCS o il troppo facilmente dimenticato swap su Fiat. Molte di queste operazioni non hanno neppure il paravento dell’interesse strategico o nazionale, ma solo l’interesse di alcuni “salottini buoni” del nostro capitalismo “relazionale”. Sarebbe interessante capire quanto credito queste avventure hanno sottratto alla massa di aziende che non fa parte dei privilegiati.
Diversi articoli, anche su Ilsussidiario.net, hanno ampiamente dimostrato le gravi responsabilità politiche nel caso Telecom, come per Alitalia, ma il problema non si risolve facendo cadere l’attuale governo. Con questa minaccia, Berlusconi rischia di passare per il Maramaldo della nostra malandata economia, scatenando una reazione incontrollata contro l’intera classe politica e imprenditoriale, giudicate ormai da moltissimi italiani del tutto incapaci.
Nei casi elencati i responsabili hanno nomi e cognomi, e per Telecom coinvolgono i numi tutelari della sinistra e le loro privatizzazioni: Romano Prodi, Massimo D’Alema, Carlo Azeglio Ciampi, tanto per citare i più importanti. Il che non assolve il centrodestra dalle sue incapacità, anch’esse ampiamente dimostrate, e dalle sue responsabilità, come in Alitalia.
Del tutto fuori luogo, perciò, la sorpresa e l’indignazione che pervadono i commenti in questi giorni, perché era già tutto nell’aria, a partire dalla volontà di disimpegno dei soci finanziari di Telco. Non si può far finta di dimenticare che, qualche mese fa, erano in corso trattative per l’entrata in Telecom dei cinesi della Hutchison Whampoa, e ci si poteva quindi aspettare una reazione da parte di Telefonica. La sensazione è che tutti, opinionisti, Bernabè, governo, facciano i finti tonti per non pagar dazio. O, forse, sono stati realmente presi in contropiede, il che confermerebbe ad abundantiam il precedente discorso sulla insipienza delle nostre classi dirigenti.
Anche le grida su Telecom spagnola sono, almeno tecnicamente, premature: Telefonica avrà la maggioranza di Telco, cioè solo il 22,5% del capitale della società, e rimangono ampi margini di manovra, se soci esistenti o società esterne volessero contrastare gli spagnoli. Ma esistono compagini italiane che hanno, o meglio, che sono disposte a mettere sufficienti, e reali, capitali in Telecom? Se questi capitali non sono disponibili, allora meglio piantarla con la storia della italianità.
Vorrei sapere dove erano tutti quelli che ora si lamentano quando si permise l’entrata di Telefonica, il cui obiettivo era palesemente solo quello di bloccare lo sviluppo di Tim in America Latina. O dove erano quando Carlo Azeglio Ciampi diede a De Benedetti Omnitel, venduta dopo tre anni ai tedeschi, come ha ricordato Stefano Cingolani su queste pagine.
Dal Copasir vengono avvertimenti preoccupati per i possibili danni alla sicurezza nazionale per il passaggio a stranieri soprattutto della rete fissa e il governo sembra muoversi per fronteggiare il pericolo. Mi pare di ricordare che problemi su questo fronte fossero già emersi nella Telecom a gestione italiana e, comunque, nulla vieta al governo di imporre la separazione della rete fissa e il controllo della sua gestione. D’altro canto, era un’operazione già in una fase di discussione avanzata, compreso l’intervento della Cassa depositi e prestiti.
Molto rumore per nulla, quindi? Niente affatto, sarebbe chiudere gli occhi se si negasse che la nostra industria sta andando a pezzi, in parte per la crisi e in parte per l’insipienza delle dirigenze, ma la soluzione non sta certamente nel piangere sul latte versato.
Un’ultima amara osservazione. Se si va indietro negli anni, si vede che Telecom e Telefonica erano grosso modo delle stesse dimensioni, così come lo era Alitalia rispetto a Klm. Allora le fusioni sarebbero state tra soci più o meno alla pari, ora si rischia l’ennesima svendita di imprese italiane a stranieri. Ci sia risparmiato almeno l’applauso di chi pensa che, dall’estero o dall’Europa, noi italiani abbiamo solo da imparare.