Qualche giorno fa, di fronte all’articolo di Mauro Bottarelli intitolato “La bolla pronta a scoppiare in Europa”, scommetto che molti dei lettori de ilsussidiario.net avranno pensato: ecco il solito “catastrofista” Bottarelli. Invece no, perché il giorno prima il serioso Sole 24 Ore se ne era uscito in prima pagina con questo titolo: “Mercati, 700 miliardi nella ‘bolla’ europea, riprendendo così temi da tempo trattati dal nostro Bottarelli, compresa la domanda su cosa ci sia dietro l’attuale boom della Borsa italiana.

Il servizio del Sole 24 Ore di domenica scorsa contiene anche un articolo a firma Morya Longo molto interessante per l’analisi della situazione attuale, a partire dal titolo “Troppo denaro, poche certezze”. La tesi di fondo dell’articolo è che “la spasmodica ricerca di rendimenti da parte degli investitori di tutto il mondo […] ha indotto gli investitori ad assumersi ancora più rischi, a fronte di rendimenti sempre minori.” Situazione ben sintetizzata dalla battuta del finanziere Warren Buffet: “I bond, presentati come rendimenti privi di rischi, ora sono rischi privi di rendimenti.

Gli affezionati lettori de ilsussidiario.net potranno dire che lo sapevano già, ma vederlo scritto sul quotidiano della Confindustria, e con l’avallo del guru Buffet, fa una certa impressione. Longo dà altre notizie preoccupanti, come il fatto che i CDO, prodotti definiti “salsiccia” per la indecifrabilità del loro contenuto e “tossici” per eccellenza, negli Usa hanno raddoppiato i loro prezzi nell’ultimo anno. Non solo, ma i bassi tassi di interesse stanno mettendo in gravi difficoltà le polizze assicurative a lungo termine, che garantivano tassi ben più alti, e gli investimenti dei fondi pensione.

La ragione è la massa di liquidità che non trova convenienti allocazioni sui mercati e che, come dice Buffet, rincorre ormai anche rischi senza rendimenti. Una situazione ben nota a chi ha seguito il nascere della crisi attuale, originata per l’appunto dalla enorme liquidità in circolazione, a proposito della quale è molto istruttiva la lettura di un articolo pubblicato su queste pagine il 1° luglio 2008, a crisi dei mutui subprime iniziata, ma ancora non del tutto estesa al sistema finanziario globale.

In questo articolo di Anne Krueger, docente di Economia internazionale alla John Hopkins University e già vicedirettrice del Fondo monetario internazionale, è già descritta buona parte di quanto denunciato ora dal Sole 24 Ore. La rilettura di questo articolo è anche istruttiva per il modo realistico in cui ripropone la ragion d’essere della finanza e i suoi corretti rapporti con il resto dell’economia.

Tutto già conosciuto fin dall’inizio? Sì, per quanto rigurda le analisi, al fondo sempre le stesse, ma non per le soluzioni, che continuano a mancare. Non si è, per esempio, fatto nulla per diminuire le assurde leve finanziarie che mettono a rischio la solidità delle banche e di cui parla Bottarelli in un recentissimo articolo, citando il clamoroso caso della Deutsche Bank. Ma dell’eccessiva leva finanziaria come una delle cause della crisi parlava già nell’ottobre del 2008, nell’intervista pubblicata su queste pagine, il compianto William Niskanen, presidente emerito del Cato Institute. A dimostrazione ulteriore che le analisi erano già ampiamente a disposizione.

E cosa fare dei trilioni di derivati che incombono su di noi, pari a numerose volte il Pil mondiale? Le recenti “Volcker rule “, “Vichers rule” o “Barnier rule” non paiono sufficienti e anche il ripristino di leggi come la Glass-Steagal potrebbe essere efficiente per il futuro, ma meno per affrontare da sole la situazione attuale.

La soluzione parrebbe essere affiancare alla separazione netta, “senza se e senza ma” (quelli ancora inclusi nelle varie “rule” citate) delle banche che operano con depositi e prestiti a famiglie e imprese dalle banche di investimento, la costituzione di una “bad bank” per tutte le attività “tossiche”.

Questa procedura, applicata negli anni ‘90 per il Banco di Napoli e, a livello internazionale, per i Lloyds, la famosa compagnia assicuratrice inglese, è tornata alla ribalta da qualche anno come una possibile via d’uscita dalla crisi. Non se ne è fatto praticamente nulla e, forse, non è neppure la soluzione di tutti i problemi, ma avrebbe il vantaggio di rendere più trasparente una situazione ora estremamente opaca, e di chiarire anche le responsabilità.

Non si tratta, almeno in primo luogo, di mandare in galera i boss bancari, i “bankster” come vengono chiamati, ma di renderli innanzitutto responsabili delle scelte che hanno fatto, di goderne i frutti, se azzeccate, o di pagarne le conseguenze, se sbagliate, e non di addossarle agli altri.

Perché qualcosa succeda occorre una forte volontà politica dei governi delle maggiori potenze economiche, a partire da Stati Uniti e Unione europea. Un primo passo sarebbe il consolidamento, su una base più rigorosa, dell’americana Volcker, dell’inglese Vickers e della Barnier rule dell’Ue. Legge comune che dovrebbe entrare in vigore in tempi rapidi, cosa possibile proprio evitando i bizantinismi delle leggi citate.

Si otterrebbe così un primo inventario, seppur largamente incompleto, dei prodotti tossici in questi Paesi, il cui esempio potrebbe essere poi seguito anche da altri, dato che il problema è globale. Così come globale dovrebbe essere la “bad bank” in cui far confluire i prodotti tossici. Questa ipotesi può sembrare pura utopia, ma è ancor più utopico pensare che i costi della crisi possano essere scaricati all’infinito sulla collettività.