A quanto pare, anche l’Unione europea avrà la sua “Volcker rule”, come viene chiamata la legge recentemente approvata dal Congresso americano per limitare le operazioni finanziarie per conto proprio da parte delle banche. A quanto pare, perché della proposta del commissario al Mercato interno, Michel Barnier, che sarà quanto prima sottoposta al Parlamento europeo, si hanno solo anticipazioni dal Financial Times.
Secondo il quotidiano inglese, la “Barnier rule” si presenta come una soluzione di compromesso, vicina alla legge americana, che è però più restrittiva, e alla proposta della commissione nominata due anni fa dalla stessa Ue e presieduta dal governatore della banca centrale finlandese, Erkki Liikanen. Questa proposta prevedeva una rigida separazione tra banche retail, cioè di deposito e prestiti, e le banche finanziarie, analogamente a quanto previsto dalla Glass-Steagal, la legge americana del 1933 abolita da Bill Clinton alla fine degli anni ’90.
Sulla base di queste anticipazioni, Barnier è già stato accusato di aver ceduto alle lobby bancarie, tanto più che viene dato in corsa per la presidenza della prossima Commissione europea. È fuori di dubbio la forza di “convinzione” delle lobby bancarie, non solo negli Stati Uniti dove insieme a Wall Street condizionano pesantemente i meccanismi elettivi, ma anche in Europa, dove sarebbe interessante approfondire le caratteristiche di questi condizionamenti nei diversi paesi. Tuttavia, vi sono altri fattori che possono avere portato a un compromesso.
A livello generale, vi è un sostanziale accordo nell’identificare nell’inadeguato controllo delle attività finanziarie l’origine dell’attuale crisi, con la conseguente crescente richiesta di una loro maggiore regolamentazione, a partire dalle banche. Accanto a Usa e Ue, si sono mossi in questa direzione singoli paesi con proprie regole, come la Francia e la Germania, mentre sta per essere discussa dal Parlamento inglese una proposta di legge subito battezzata “Vickers rule”, dal presidente della commissione che l’ha elaborata.
Il sovrapporsi di queste regolamentazioni pone oggettivamente dei pericoli, da cui la necessità di un compromesso che permetta alle banche di adattarsi a regolamentazioni diverse, in attesa di una legislazione unica, ammesso che ciò possa mai avvenire. Infatti, le situazioni e le esigenze delle banche sono diverse nei vari paesi e tali sono anche gli orientamenti dei governi.
Diversi commentatori hanno fatto notare che la proposta Liikanen avrebbe posto grosse difficoltà, per esempio, alla tedesca Deutsche Bank, in seconda posizione, dopo il Crédit Agricole, per incidenza delle attività di trading sui ricavi totali, rispettivamente il 16,9% e il 26,4%, secondo una statistica pubblicata dal Sole 24 Ore.
In Gran Bretagna la proposta della commissione Vickers tende a proteggere i risparmiatori depositanti, piuttosto che abbassare il rischio speculativo come nella proposta Barnier, predisponendo “l’isolamento” di queste attività da quelle speculative, senza porre peraltro limiti a quest’ultime. Alcune voci circolano su possibili “delocalizzazioni” delle attività di alcune grandi banche inglesi per limitare i possibili danni della nuova regolamentazione. Il rischio di trasferimento di una parte delle attività in piazze finanziarie più accoglienti, non eccessivamente difficile in tempi di spinta globalizzazione, è quindi un altro elemento che può spingere a una maggiore morbidezza nella regolamentazione.
Vi sono ancora due punti di quanto si sa della proposta Barnier che vale la pena di commentare. Il primo è che la definizione delle attività soggette a controllo e il loro grado di pericolosità verrà deciso su base nazionale e caso per caso da appositi organi. Questa soluzione permette senza dubbio di adattare la regolamentazione alle diverse situazioni nazionali, ma finisce per diminuire l’efficacia della regolamentazione stessa, dando oltretutto più potere alle lobby bancarie. Inoltre, rischia di provocare spostamenti di attività finanziarie all’interno della stessa Ue, alla ricerca dei controllori di manica più larga.
L’altro punto è la limitazione delle nuove regole ai 30 principali gruppi bancari, in quanto “too big to fail”, con la chiara intenzione di evitare conseguenze a livello di sistema, con la necessità di interventi di salvataggio a spese dei contribuenti. Sperando che si abbandonino così le aberranti ipotesi di coinvolgere i depositanti negli eventuali disastri bancari, rimane però la domanda sul perché di questa limitazione. Il sospetto che ancora una volta giochino interessi di parte è forte, date le maggiori dimensioni delle altre banche europee rispetto alle nostre, e sarebbe interessante sapere quante delle 30 banche sono italiane, a parte le solite Unicredit e Intesa.
Sarebbe interessante anche sapere qual è la posizione del nostro governo e dei nostri gruppi parlamentari europei. Per il momento c’è ancora da segnalare che si tratta comunque di riforme a lungo termine, visto che sembra che la nuova regolamentazione andrà a regime nel 2018.
Per tutte queste ragioni molti commentatori rimangono scettici, mentre paiono abbastanza contenti gli ambienti bancari. Credo abbia ragione Patrick Jenkins su Financial Times, quando scrive che sarebbe molto più efficace una regolamentazione a livello globale, come globale è il problema, che imponga alle banche capitalizzazioni più solide, leve finanziarie più limitate per ridurre i rischi e maggiori riserve di liquidità. Ma c’è qualcuno in grado di fare questo?