Tra due settimane, martedì 4 novembre, si terranno negli Stati Uniti le elezioni cosiddette di “metà mandato” (midterm elections), con la rielezione dei 435 deputati della Camera dei Rappresentanti, di 36 senatori e 39 governatori. Attualmente, il Partito Repubblicano ha la maggioranza alla Camera, mentre i Democratici la hanno al Senato. Entrambi i partiti non sono al massimo della loro forza e la presidenza di Obama, che si sta avviando a conclusione, comincia a essere contestata, non solo dalle opposizioni per la riforma sanitaria, ma anche nel suo partito per la politica estera. Queste elezioni daranno anche il via, di fatto, alla campagna per la scelta dei candidati alle primarie dei due partiti per le elezioni presidenziali.
Questo scenario si inserisce in una situazione internazionale decisamente preoccupante e dovrebbe sollecitare l’interesse anche dei media di un Europa e un’Italia che sembrano dedite all’autocontemplazione. Lo dimostra la scarsa attenzione dedicata al discorso tenuto dal vicepresidente Usa all’Università di Harvard lo scorso 3 ottobre, in cui Biden ha fatto sorprendenti affermazioni sui rapporti tra Casa Bianca e Unione Europea in merito alla questione ucraina, vere e proprie gaffes diplomatiche che hanno avuto maggior rilievo negli Stati Uniti che non qui in Europa.
Eppure, il discorso di Biden è ricco di informazioni sull’attuale strategia Usa nei confronti del resto del mondo e, pur tenendo conto dei toni decisamente elettorali, c’è da fidarsi di quanto dice Biden, definito un politico che deve pagare non per le proprie bugie, ma per aver detto, improvvidamente, la verità.
Il tono dell’intervento è decisamente patriottico e rimanda esplicitamente allo “American exceptionalism”, a quella idea per cui gli Stati Uniti hanno nel mondo una missione speciale, data da Dio, conclamata anche da Obama nel suo discorso a maggio all’Accademia Militare di West Point. Biden, infatti, parla del “dovere di guidare” che hanno gli Stati Uniti: “E’ costoso, richiede sacrifici, a volte è pericoloso. Ma dobbiamo farlo… ed è nelle nostre capacità rendere il mondo migliore”.
Biden nel suo discorso “sistema” tutto il resto del mondo. Per l’Europa vi è innanzitutto la Nato, di nuovo in funzione anti russa, ma per la quale viene richiesto un maggior coinvolgimento, militare e finanziario, degli alleati, e l’incombente Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP). Una simile soluzione viene argomentata per l’area del Pacifico, dal “Perù al Giappone”, attraverso la Trans-Pacific Partnership, così da portare ad includere in questi accordi circa i due terzi del commercio mondiale e condizionare l’intera economia globale. Ovviamente, sotto la guida statunitense.
Chi rimane fuori da questa “pax americana”? Il “cattivo” di turno, cioè la Russia di Putin, che deve cessare le sue provocazioni se non vuol subirne le conseguenze, come sta avvenendo. Qui si è inserito lo sberleffo all’Ue, “costretta” alle sanzioni dalla Casa Bianca.
Meno sbrigativo e più cauto il tono verso la Cina, ma Biden approfitta dell’occasione per affermare i diritti umani come il problema principale, sostenendo che il presidente cinese gli ha chiesto, meravigliato, perché tutta questa attenzione a detto argomento. La risposta, che secondo Biden è “quasi unica degli Stati Uniti”, è stata che i diritti umani “sono impressi nel nostro Dna”. Chissà se ha ripetuto la stessa cosa alle società Usa che operano in Cina.
Parlando del terrorismo e dell’Isis, oltre ad un’altra gaffe con conseguenti scuse alla Turchia (ma ora lo stesso Obama gli ha dato nei fatti ragione, facendo la voce grossa con Erdogan), ha detto che un americano “ha il doppio delle probabilità di essere colpito da un fulmine che da un atto terroristico negli Stati Uniti”. Anche negli Usa ci si è chiesti se il nostro Joe ha un’idea chiara di ciò che sta succedendo in Medio Oriente, ma si sa, sotto elezioni l’importante è rassicurare.
Poche parole su un continente che sembra dimenticato, l’Africa, dove la Cina si sta dando invece un gran daffare. Biden parla solo della tragedia dell’Ebola, forse per i casi in Texas che toccano da vicino gli americani, e afferma che Obama e gli States hanno preso il comando delle operazioni a livello internazionale per combattere il flagello, mandando 3000 soldati in Africa Occidentale. Con buona pace di medici, missionari e Ong che si ostinano a curare gli ammalati, a loro personale rischio, invece che sparare ai virus.
Biden si produce inoltre in un panegirico della forza economica degli Stati Uniti: “Siamo nella miglior posizione rispetto ad ogni altra nazione nel mondo per rimanere l’economia guida nel mondo del 21esimo secolo”. Gli Stati Uniti hanno le migliori università, le più grandi risorse di energia, il sistema di venture capital più flessibile, i lavoratori più produttivi, il miglior sistema legale a protezione della proprietà intellettuale, sono il miglior posto al mondo in cui investire. E il 54% di chi ha investito in Cina ha in programma di ritornare a casa.
La chiusura del discorso è conseguente: “Dio vi protegga e possa Dio proteggere i nostri soldati”.
Ho l’impressione che se un discorso simile fosse stato fatto da Bush, la nostra stampa se ne sarebbe occupata, eccome!, per denunciare l’imperialismo e il militarismo “amerikano”, ma Biden è vice di Obama, premio Nobel della Pace, quindi meglio sorvolare.
C’è solo da sperare che a Bruxelles, e magari anche il presidente di turno, il nostro Matteo Renzi, se lo siano letto e stiano dando una seria occhiata alle condizioni del TTIP, tenendo conto della derisoria affermazione di Biden sulla completa incapacità dell’UE di fare la minima concorrenza agli Usa. Se dobbiamo diventare il nuovo “cortile di casa” degli Stati Uniti, visto che quello vecchio, l’America Latina, pone ancora difficoltà malgrado le pompose affermazioni di Biden, almeno vendiamo cara la pelle.