L’interessante intervista di Peppino Caldarola al sussidiario contiene diversi spunti utili per un’analisi del quadro politico in generale, non soltanto del Pd, a partire dalla constatazione che ormai da tempo i partiti italiani sono connotati da una forte leadership personale, e non solo quelli di sinistra citati da Caldarola. Basti pensare al centrodestra italiano, ormai da anni identificato con Berlusconi, e all’attuale Forza Italia, quasi stereotipo del partito personale.

Condivisibile è anche il giudizio sulla trasformazione dei partiti da organizzazioni di massa, strutturate più o meno rigidamente, a mobili partiti “d’opinione” sul modello americano, anche se il nostro Paese è molto diverso dagli Stati Uniti per storia, cultura e impianto istituzionale.

Non è quindi un caso che l’attuale partito di maggioranza si chiami Partito democratico, un riferimento americano che è servito a staccare definitivamente il partito dalla sua storia comunista. Nella terminologia del vecchio Pci, democratico era sinonimo di comunista, come nella Repubblica Democratica tedesca contrapposta alla “imperialista” Germania dell’Ovest. Dopo la caduta del Muro di Berlino, il termine ha assunto un valore di distanziamento dalla propria storia comunista, apparso progressivamente chiaro nei successivi cambiamenti di nome: Partito democratico della sinistra (Pds) nel 1991, Democratici di sinistra (Ds) nel 1998, Partito democratico (Pd) nel 2007.

Ciò ha portato a un partito effettivamente diverso, anche per l’uscita via via delle componenti rimaste dichiaratamente marxiste e la coabitazione con forze diverse, innanzi tutto con la ex sinistra democristiana. L’attuale nome non richiama neppure più la sinistra, né si è avuto il coraggio di accettare finalmente la definizione socialista, considerata probabilmente una sorta di riconoscimento del fallimento di quella scissione di Livorno da cui il Pci era nato.

Matteo Renzi, perciò, non fa altro che trarre le conclusioni di questa storia e del nome che il partito ha deciso di darsi, cercando di costruire qualcosa di molto simile, come dice Calderola, a un partito progressista dell’area europea. La mia impressione è che lo porti più vicino ai liberal-democratici inglesi piuttosto che ai tradizionali partiti socialisti europei, con un carattere centrista e interclassista che lo pone in diretta contiguità con il partito di Berlusconi.

E’ ormai opinione comune che Renzi e Berlusconi si assomiglino parecchio e anche i loro proclami programmatici cominciano ad assomigliarsi, con il mantra della riduzione delle tasse, il bonus bebè, il milione di posti di lavoro, l’atteggiamento “virile” nei confronti dell’Europa. Per il momento, Renzi non si è beccato i sorrisini della Merkel, ma stiamo a vedere. Matteo ha le caratteristiche di quel successore che Silvio non ha mai voluto identificare, ma un passaggio di consegne tra i due, con una confluenza dei due partiti contigui, è troppo anche per il teatrino della politica italiana. Né è probabile che si possa dar luogo alla diarchia rappresentata da Renzi al governo e Berlusconi al Quirinale, anche se tutto è possibile nel Bel Paese, tanto più se è irragionevole.

Comunque evolva lo scenario, c’è da chiedersi quale sarà il ruolo dei cattolici, presenti in tutto l’arco politico, ma non chiaramente rintracciabili negli esiti della politica. E’ una domanda che non riguarda solo l’Italia, basti pensare agli Stati Uniti, dove i cattolici sono ormai ben presenti sulla scena politica “che conta”, ma dove la discriminante più importante pare essere quella tra “pro-choice”, favorevoli all’aborto, e “pro-life”, contrari, cui si contrappone l’altro asse sulla politica sociale, che porta a definire pro aborto ma in favore dei poveri i cattolici che votano Democratico, contro l’aborto ma insensibili ai bisogni dei poveri quelli che votano Repubblicano.

Uno schematismo che riduce la vera portata della presenza cattolica nella società americana e che nasconde la difficoltà a definire con più nettezza quale sia il ruolo del cattolico in politica. La situazione non sembra essere diversa in Europa, dove gli assi sono ancora conservatore-progressista, destra-sinistra, e dove una presenza che abbia un dichiarato riferimento religioso viene vista come un tentativo di confessionalizzare lo Stato.

A meno di ridurre la presenza pubblica dei cattolici solo alla società, riducendo quella in politica a una mera dimensione individuale, di ispirazione personale quindi privata, il problema si pone ed è probabile che non possa essere risolto con la costituzione di una Democrazia Cristiana 2.0. Se l’analisi fatta in precedenza è giusta, sia nel centro sinistra che nel centrodestra si stanno delineando due formazioni che sembrano una Dc in formato laico, o laicista.

Forse potrebbe essere utile andare a rileggere l“Appello agli uomini liberi e forti” di Don Sturzo, alla base della fondazione del Partito Popolare nel 1919, alla fine della prima guerra mondiale, ora che è iniziata, come ha detto papa Francesco, la terza guerra, pur combattuta a pezzi. Il documento va senza dubbio aggiornato con i ricchi contributi nel frattempo derivati dal magistero della Chiesa, ma ispirazione e intendimenti potrebbero essere di molto aiuto anche oggi. Vale la pena comunque di rifletterci, altrimenti rimarremo chiusi nelle sterili diatribe su zeloti e lassisti.