Sta facendo un certo scalpore l’intervista di Repubblica a Vincenzo Armanna, già manager dell’Eni che si occupò a suo tempo della licenza di sfruttamento del giacimento offshore nigeriano OPL 245. Un giacimento piuttosto importante, che vale circa il 25% delle riserve petrolifere della Nigeria, il cui sfruttamento è stato concesso nel 2011 congiuntamente a Eni e Shell e che dovrebbe cominciare la produzione nel 2016. Cosa non più certa, a seguito dell’inchiesta della procura di Milano per corruzione internazionale, che vede indagati l’attuale capo di Eni, Claudio Descalzi, e il suo predecessore, Paolo Scaroni, insieme a molti altri.

Cosa ha detto di così nuovo Armanna, anch’egli tra gli indagati? L’ex dirigente Eni, il 30 luglio scorso, ha spontaneamente deposto per undici ore davanti ai Pm milanesi e ora ha deciso di ricostruire l’intera storia, “seduto ai tavolini deserti di un bar” con due giornalisti del quotidiano, dando alle tante domande che essa pone delle risposte, “naturalmente le sue”, precisa Repubblica. Peraltro, nel commentare il pezzo di Repubblica, il Fatto Quotidiano lo definisce “il verbale dell’ex dirigente Vincenzo Armanna, riportato dal quotidiano La Repubblica”. Lapsus o l’ennesima velina camuffata da intervista?

In sostanza, Armanna sostiene di essere stato convocato a Lagos da Dan Etete, ex ministro nigeriano del petrolio, in presenza di un mediatore, Emeka Obi, entrambi personaggi chiave della vicenda, di essere stato minacciato da Etete di fronte alle sue resistenze a trattare con lui una cosa che riteneva non sua, e di essersi sentito dire che Descalzi, quando era responsabile dell’Eni nigeriana, prendeva ordini da lui. Armanna sostiene di aver parlato della cosa con Descalzi, che gli avrebbe detto di non fare ostruzionismo; in seguito gli sarebbe stato fatto capire che la cosa era seguita direttamente anche da Scaroni; infine, che in Nigeria si diceva che i 200 milioni di dollari di commissione al suddetto Obi sarebbero serviti anche a tangenti italiane, cosa rinfacciatagli anche da un legale della Shell.

Il tutto sarebbe avvenuto tra il 2009 e il 2010. Nell’aprile del 2011, Eni e Shell firmano il contratto per la concessione e Armanna viene spostato in Qatar, poi nel 2013 ad Abu Dhabi, dove “ si mette di traverso ancora una volta” e il rapporto con Eni viene interrotto. Repubblica titola quest’ultimo paragrafo”La vendetta”. Armanna non sembra portare sostanziali novità rispetto alla valanga di articoli già scritti in proposito, ma fa scalpore l’attacco diretto e personale ai massimi responsabili dell’Eni con accuse gravi, già definite dagli interessati pure diffamazioni. Nella stessa intervista, d’altronde, si rileva più volte l’assenza di prove concrete.

Al di là dell’attendibilità di Armanna, è difficile non pensare che la trattativa si sia svolta nel modo opaco e poco etico che contraddistingue, purtroppo, questo genere di affari. Lo dimostra la stessa confusione di dati e cifre che si nota nei vari resoconti. Nell’intervista di Repubblica si parla di un costo della trattativa di 1,3 miliardi di dollari, mentre la stampa straniera e i lanci Reuters parlano di 1,1 miliardi di dollari. I 200 milioni di differenza derivano per alcuni dalla tangente all’intermediario, mentre altri li considerano la quota rimasta effettivamente al governo nigeriano.

L’accordo è stato fatto direttamente con il governo, cui è stata pagata la suddetta cifra, ma anche qui secondo gli acquirenti rispettando le regole e le leggi nigeriane, secondo fonti nigeriane, invece, seguendo una prassi irregolare. Da qui la decisione della Camera dei Deputati nigeriana di chiedere l’annullamento del contratto, cosa che non pare ancora avvenuta, perché tale decisione è stata impugnata dalla Malabu Oil & Gas, la società del già citato ex ministro Etete, che si ritiene proprietaria dei diritti di sfruttamento.

Questa società aveva ottenuto nel 1998 la concessione sul blocco OPL 245 ai tempi della dittatura militare di Sani Abacha, di cui Etete era ministro, avendo a quanto pare come socio il figlio di Abacha, perché tutto era ovviamente tenuto segreto. Ora, invece, la società è apertamente dell’ex ministro. La concessione era stata revocata dal governo civile di Olusegun Obasanjo, accusato da Etete di aver preteso una tangente da lui, e poi ridata alla Malabu nel 2006.

Oltre la causa della Malabu contro la decisione della Camera, vi è una vertenza giudiziaria nel Regno Unito tra Malabu e la società dell’intermediario, Obi, per la commissione di 200 milioni di dollari. Etete è stato condannato nel 2017 in Francia per riciclaggio ed è questa una delle ragioni per cui Eni e Shell non hanno versato l’importo alla Malabu, ma direttamente al governo federale nigeriano.

In questo groviglio si inseriscono i Pm milanesi che, secondo Reuters, parlano di 533 milioni di dollari, circa la metà della cifra totale, girati a intermediari nigeriani e non. Secondo Reuters, questa cifra sarebbe citata in una lettera della procura milanese ai loro colleghi inglesi, con la richiesta di congelare 85 milioni di dollari di proprietà della Malabu in Gran Bretagna, mentre 190 milioni sono stati già bloccati alla società di Obi.

Tuttavia, secondo alcune fonti africane, alla Malabu sarebbero state rigirati ben 800 milioni sui 1,1 miliardi pagati al governo, con il beneplacito del ministro federale della Giustizia. Secondo fonti locali, sarebbero provati incontri anche tra Etete e la Shell, ma la magistratura olandese non si è mossa, almeno finora, come diversi media stranieri hanno notato.

Restano da vedere i risvolti politici interni, perché Descalzi è stato promosso amministratore delegato di Eni dal governo di Matteo Renzi. Il viceministro allo Sviluppo economico con delega all’energia, Claudio De Vincenti, ha dichiarato che “Il governo ha molta fiducia in Descalzi”. Possiamo essere d’accordo e, visto il groviglio descritto, più che mai occorre attenersi al principio di presunzione di innocenza, ma i mercati seguiranno la stessa logica? E, soprattutto, la seguiranno gli attuali e potenziali clienti di Eni? O preferiranno i più pragmatici concorrenti di altri “virtuosi” Paesi?