Sottolineare che la presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea non lascerà grande traccia di sé è come sparare sull’ambulanza, anche se la maggior parte degli italiani non si è probabilmente neppure resa conto dell’opportunità per il nostro Paese di contare un po’ più del solito in Europa. Eppure, il programma presentato da Renzi a luglio, all’inizio del semestre italiano, era molto ambizioso: “Crescita e occupazione, spazio di libertà e sicurezza per un pieno esercizio dei diritti di cittadinanza e un ruolo più forte dell’Europa nel mondo saranno i capisaldi del nostro programma di Presidenza”, recitava il preambolo.
A poco più di un mese dalla scadenza del semestre, solo Matteo Renzi può dichiarare che la presidenza italiana ha avuto il grande merito di sbloccare il dualismo austerità-crescita. Aggiungendo, secondo quanto riportato da AdnKronos che “i nostri partner sono impressionati dall’elenco delle riforme che vogliamo fare”. Evidentemente troppo preso dai suoi discorsi e dai suoi viaggi, il nostro Premier non si è accorto di quanto fosse difficile varare il bilancio Ue per il 2015 e del travaglio vissuto dal sottosegretario Enrico Zanetti, incaricato di seguire i negoziati tra i governi dei 28 Stati membri.
Infatti, il Consiglio Ue e il Parlamento europeo non sono riusciti ad accordarsi sulla proposta di bilancio preparata dalla Commissione europea e presentata dal Consiglio, che pertanto non è stata approvata. Ora la Commissione dovrà elaborare un’altra proposta, che dovrà essere approvata entro fine anno, altrimenti l’Unione potrà procedere spendendo ogni mese solo un dodicesimo di quanto stanziato per il 2014.
Il presidente della Commissione bilancio del Parlamento europeo è stato molto duro nei confronti dei governi membri del Consiglio, che, per i loro dissidi interni, hanno portato la proposta in Parlamento solo l’ultimo giorno utile delle tre settimane che avevano a disposizione. Le critiche sono state particolarmente severe su un punto specifico, i ritardi nei pagamenti da parte della Commissione, previsti per il 2014 in circa 28 miliardi di euro, e che hanno fatto dire al citato Presidente: “Quanto può essere credibile un’Ue che dice agli Stati membri di tenere sotto controllo la loro spesa pubblica e però mette in difficoltà imprenditori, ricercatori e studenti dell’Erasmus non tenendo fede ai propri impegni?”. Rincarando poi la dose: “Questo mette a repentaglio la credibilità dell’istituzione Ue e fornisce argomenti agli eurofobi”.
Forse per questo Renzi ha preferito altre incombenze, perché sarebbe stato poco credibile nell’affrontare il problema, viste le difficoltà che i nostri governi hanno avuto, e che anche il suo ha, nel pagare i debiti della Ps. Comunque sia, difficile parlare di un successo della nostra presidenza, malgrado gli sforzi del sottosegretario.
La vicenda ha portato alla luce un grave scollamento tra Parlamento europeo e Consiglio dell’Ue, accusato di badare solo agli egoistici interessi dei governi che ne fanno parte, come nel caso delle contribuzioni aggiuntive richieste e in particolare alle dilazioni di pagamento, senza interessi, riconosciute al Regno Unito. Inoltre, il Parlamento aveva chiesto di dedicare ai pagamenti pregressi circa 5 miliardi di euro di entrate non previste, derivanti da multe inflitte, che invece il Consiglio vorrebbe restituire agli Stati. Un altro punto di disaccordo è dato dalla richiesta del Parlamento di aumentare il budget 2014-2020 per 11 miliardi da destinare ad aiuti per catastrofi naturali e crisi umanitarie.
Insomma, contrariamente a quanto affermato da Renzi sul superamento del dualismo austerità-crescita, sarebbe il Parlamento in favore della seconda e il Consiglio, da lui presieduto, a favore dell’austerità: il bilancio proposto dal Consiglio prevedeva un aumento del 3,7% rispetto al 2014, mentre il Parlamento chiede un incremento dell’8%, cioè 146 miliardi di euro contro 140.
Vale la pena di riprendere in esame la questione inglese alla luce di un’interessante analisi condotta in novembre dal quotidiano inglese The Telegraph, che ricorda come Margaret Thatcher riuscì nel 1984 a ottenere una riduzione, consistente, dei contributi inglesi all’Ue. Secondo il quotidiano inglese, altri paesi riuscirono in seguito a ridurre il proprio contributo, Austria, Olanda, Svezia, Danimarca, persino Germania, e le spese di queste riduzioni sono state pagate da Francia e Italia. Sempre secondo il Telegraph, per il solo taglio” alla Gran Bretagna, nel 2013 l’Italia avrebbe pagato 900 milioni di euro. Da tener presente che, comunque, l’Italia dà all’Ue più soldi di quanti ne riceva.
Chissà se Renzi, nel mese che manca alla scadenza della presidenza italiana, troverà il tempo per dare un’occhiata, oltre che al bilancio dell’Ue, anche a questi conteggi.