Uno degli strumenti usati dalle imprese per superare periodi di crisi come l’attuale è dato dalle concentrazioni, che riducono la concorrenza, aiutano a sostenere i prezzi e riducono i costi, attraverso sinergie e, purtroppo, riduzioni del personale in eccedenza per le inevitabili sovrapposizioni. È ciò che sta avvenendo in molti settori, ma telefonia e media sono particolarmente sottoposti a una serie continua di aggregazioni.

Qui, Telecom Italia è contemporaneamente al margine e al centro: al margine data la sua scarsa presenza sui mercati internazionali, al centro perché subisce i contraccolpi delle altrui operazioni. Com’è noto, il socio di riferimento di Telecom è stato per diversi anni quell’ircocervo dal nome di Telco, aggregato di tre società italiane esterne al settore, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Generali, e di un concorrente, la spagnola Telefónica.

Telco si è di fatto sciolta, essendo gli italiani stanchi di un investimento estemporaneo che non dava frutti, mentre Telefónica non è riuscita ad acquistare Tim Participações, la partecipata brasiliana di Telecom, diventando così troppo costosa la sua strategia di “fermo” su Telecom Italia. Gli spagnoli hanno risolto il problema brasiliano con l’acquisto dalla francese Vivendi di Gvt, società cui era interessata anche Tim. Nell’accordo di vendita, Vivendi subentra a Telefónica come socio di Telecom Italia, di cui rimane concorrente in Brasile,con la sua quota di minoranza nella società nata dalla fusione di Vivo (Telefónica) e Gvt.

Il Brasile è un mercato importante di per sé, ma lo è particolarmente per Telecom, per la quale rappresenta un quinto dei ricavi e una buona fonte di utili. Un consolidamento in questo Paese sarebbe importante anche per un’espansione nel promettente mercato sudamericano, utilizzando pure la consociata argentina, di cui è stata sospesa la vendita.

Tale consolidamento potrebbe avvenire mediante l’acquisto della brasiliana Oi, leader nella telefonia fissa ma debole nel mobile: la fusione sarebbe positiva sotto il profilo industriale e produrrebbe sinergie stimate in diversi miliardi di euro. Tuttavia, Oi sembra intenzionata a partecipare a una cordata con Claro (America Movil) e Vivo per l’acquisto di Tim Brasil, partecipata da Telecom al 67%.

Il management di Telecom, pur ribadendo la strategicità della presenza in Brasile, non si dichiara contrario a una vendita di Tim, se il prezzo fosse particolarmente allettante; dal canto suo, il nuovo presidente di Oi si dichiara aperto a tutte le soluzioni per un consolidamento del settore in Brasile, non escludendo quindi né la citata cordata, né un accordo diretto con Telecom Italia.

Secondo voci di mercato, il prezzo che la cordata offrirebbe sarebbe di 15 miliardi di dollari, un terzo in più di quanto finora circolato, ma un terzo in meno rispetto ai parametri di valutazione usati nel passaggio di Gvt a Telefónica. Non c’è da stupirsi se il management italiano sembra aver scelto una strategia di attesa. Anche perché gli altri hanno un po’ di problemi da risolvere. Oi è fortemente indebitata e ha messo in vendita le società portoghese, Portugal Telecom, acquistata dalla francese Altice per 7,4 miliardi di euro. L’acquisto di Tim, sia pure per un 25% come è stato dichiarato, limiterebbe notevolmente la riduzione del suo debito.

Inoltre, la vendita deve passare dall’assemblea dei soci della holding PT, che si terrà a metà del prossimo gennaio, e richiederà comunque mesi per essere finalizzata. In più, un’imprenditrice angolana, Isabel dos Santos, figlia del presidente dell’Angola, ha lanciato un’Opa sulla holding di PT, complicando ulteriormente la situazione. Anche la scissione di Telco e il perfezionamento della vendita in Brasile sono ancora in attesa delle autorizzazioni finali.

Rimangono perciò vivi altri scenari, come quello prospettato in alcune dichiarazioni di Tarak ben Ammar, consigliere di amministrazione sia di Mediobanca (di cui è socio rilevante Vincent Bolloré, patron di Vivendi), sia di Telecom Italia, e già di Mediaset. In un’intervista a Giovanni Minoli su Radio 24, ben Hammar ha parlato di un accordo sui contenuti con Mediaset simile a quello già firmato da Telecom con Sky, ipotizzando addirittura una piattaforma comune tra Berlusconi e Murdoch. Tuttavia, Telefónica è presente nell’azionariato di Mediaset Premium e una collaborazione tra Premium, Digital Plus (Telefónica) e Canal Plus (Vivendi) sembrerebbe più vicina alla realtà.

In attesa che il quadro si chiarisca, Telecom sta compiendo alcune mosse in Italia, come la prevista vendita, o quotazione, delle torri di trasmissioni, già vendute da Tim in Brasile. Un altro dossier aperto è la possibile entrata in Metroweb, la società proprietaria della rete in fibra ottica di Milano e presente a Genova e Bologna, cui sembra interessata anche Vodafone. Metroweb è attualmente partecipata al 53,8% da F2i, il fondo specializzato in investimenti in infrastrutture, partecipato da Cassa depositi e prestiti insieme a banche e Fondazioni bancarie, e al 46,2% dal Fondo strategico italiano, 80% Cdp e 20% Banca d’Italia. Infine, dopo la vendita di La 7 a Cairo Communication, Ti Media si è fusa prima dell’estate con Rete A del gruppo Espresso, dando luogo a Persidera, operatore di rete indipendente dotato di cinque multiplex digitali con un’infrastruttura a copertura nazionale.

Dove invece incombe ancora il buio è sullo scorporo della rete fissa, ma una qualche luce potrebbe arrivare proprio dai colloqui in corso con i fondi della Cdp.