La bellissima riflessione di Don Leonardi sull’eccidio in Pakistan mette in piena luce il vero significato di essere umano, cosa significhi veramente essere umani. Ciò è possibile solo nella presenza di un Dio che si incarna tra le proprie creature per portarle alla loro pienezza, non raggiungibile senza di Lui. Il mio giusto vive di fede e la verità vi farà liberi: Lui è la Giustizia e la Verità.
Fuori di questa realtà, l’uomo non può che cercare una sua strada che sarà comunque sempre limitata, come egli è limitato. La legge del taglione, che a noi sembra così ingiusta, fu introdotta per dare una misura “giusta” alla vendetta , unica forma di giustizia allora riconosciuta: occhio per occhio, non due occhi per un occhio.
Anche la più razionale dea della giustizia con la sua bilancia rispondeva a un criterio di limitazione: riconosciuta impossibile una giustizia perfetta, che almeno essa fosse equilibrata, e la dea era cieca per arginare l’influenza dei potenti e dei corruttori.
Anche i 613 precetti farisaici rappresentano un tentativo di rendere “umani” i comandamenti divini. Qui tornano in mente le parole di San Paolo: “L’uomo non è giustificato per le opere della Legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo.”, ma se questo è così difficile per noi cristiani, che valore potrà mai avere per dei musulmani per i quali la sola idea dell’Incarnazione di Dio è blasfema e per i quali il Corano è parola diretta e non interpretabile di Dio? E che valore potrà avere per un ateo?
Rimane l’appello a quella umanità naturale che è alla base di quanto scrive Don Mauro, un’umanità che è in tutti, anche nei Talebani e negli atei, che deve emergere, perché ogni uomo ha in sé la domanda del poeta Mario Luzi, titolo del prossimo Meeting di Rimini: “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”
Il cuore degli attentatori in Pakistan, come quello di molti di noi e, troppo spesso, di tutti noi, rimane sordo a questa domanda, e riempie il cuore di risposte false, quindi inutili. Tutto ciò porta alla necessità di approfondire la nostra capacità di preghiera, come ci invita Papa Francesco, e ad ampliare la nostra ragione, secondo l’invito di Papa Benedetto.
Gli assassini di Peshawar hanno detto qualcosa che ci deve far pensare, anche se espresso nel modo radicalmente sbagliato descritto da Don Mauro: provate anche voi il nostro dolore. Ci deve far pensare, perché nella nostra epoca tecnologica si può uccidere in modo apparentemente asettico ed è forse questo che ci inorridisce particolarmente negli atti di terrorismo, che ci sembra così barbaro: la relazione diretta, la vicinanza corporea, tra chi uccide e chi viene ucciso. Le decapitazioni dell’Isis o le impiccagioni in Iran o altrove ci fanno orrore, le vediamo, ma non vediamo le esecuzioni capitali negli Usa, per esempio, e l’orrore ci arriva solo quando qualcosa va storto, come nel recente caso del condannato in Ohio che ci ha messo 13 dolorosi minuti a morire.
Per chi fa partire razzi, missili, sgancia bombe da un aereo, dirige da lontano un drone, le vittime sono solo numeri statistici e quelle innocenti, solo deprecabili ma inevitabili “danni collaterali”. Anche questo pone domande alla nostra ragione e pone in evidenza quanto Papa Woityla diceva circa i limiti sempre più severi della dottrina della giusta guerra di fronte alla straordinaria e cieca potenza della guerra moderna.
La risposta non può essere in un pacifismo oltranzista, ma nel messaggio che contraddistingue la festa di Natale e che campeggia, o campeggiava?, nei presepi: “Pace in terra agli uomini di buona volontà”. Qui si gioca la libertà e la risposta, la responsabilità, di ciascuno, in primo luogo di chi ha posizioni di potere.
Si gioca anche la decisione di ciascuno di guardare la realtà per quello che è e non secondo i nostri stereotipi o preconcetti ideologici, che nascondono la realtà dietro etichette, trasformandola in un videogame dove esistono solo dei ruoli, degli obiettivi da raggiungere e ostacoli da abbattere. Fasulli, anche se così somiglianti alla realtà.
La realtà è che senza di Lui, senza quella Giustizia, senza quella Verità, nessuno e niente è pienamente giusto e pienamente vero. Quella vecchia dea bendata con la bilancia è il massimo che da soli possiamo ottenere e che dobbiamo perseguire, a patto che rimaniamo coscienti che è solo una strada, dolorosa, come le doglie del parto che, dice San Paolo, “tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi” nella speranza “di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.”