Nel giorno di Natale, il presidente Obama ha ringraziato le forze armate del suo Paese durante un discorso in una base dei marines nelle Hawaii, dove sta trascorrendo le vacanze con la famiglia. Grazie a loro, uomini e donne della Forze armate americane, ha detto Obama, gli afghani hanno ora la possibilità di ricostruire il proprio Paese, che non sarà più una fonte di attacchi terroristici. Obama ha riconosciuto che sono ancora in corso missioni difficili, come in Iraq, ma ora “il mondo è migliore, più sicuro, più pacifico, più prospero e la nostra Patria più protetta grazie a voi”.

E’ giusto che il capo delle forze armate si rivolga in tal modo ai propri soldati, ma la descrizione della situazione attuale della pace nel mondo è sembrata un po’ troppo idilliaca, particolarmente in campo repubblicano. Anche perché il discorso è apparso strumentale a sostenere la conferma del ritiro del grosso delle forze americane entro la fine dell’anno, lasciando circa 11mila soldati per l’addestramento degli afgani, insieme a qualche migliaio di militari di altri Paesi Nato.

L’opposizione repubblicana aveva chiesto un ripensamento sulla data del ritiro, vista la situazione non proprio “pacificata” dell’Afghanistan e considerando quanto accaduto in Iraq, dove gli Usa sono stati costretti a intervenire di nuovo militarmente per fronteggiare l’Isis. Uno dei maggiori oppositori è il senatore John McCain, già candidato alla presidenza degli Stati Uniti, che ha passato il Natale a Kabul e che probabilmente diventerà il presidente del Comitato della Difesa del Senato il prossimo anno, quando la maggioranza passerà al suo partito a seguito delle recenti elezioni.

La descrizione della situazione afgana fatta da Obama sembra oggettivamente troppo ottimistica, non solo perché i talebani continuano i loro attacchi, anche se meno devastanti di un tempo, ma perché il panorama generale del Paese è tutt’altro che stabilizzato. Il presidente americano sembra riporre molta fiducia nel nuovo capo dello Stato afgano, ma il problema è la gestibilità in sé dell’Afghanistan, un insieme di etnie basate su società tribali che hanno da sempre presentato non lievi problemi di governabilità.

E’ corretto il riferimento al disastro avvenuto in Iraq dopo il ritiro in conseguenza della fine “tecnica” della guerra, con la prevedibile esplosione del conflitto tra le componenti del Paese, i curdi indoeuropei e sunniti del nord, gli arabi sunniti del centro e gli arabi sciiti del sud, con diverse altre minoranze, alcune venute alla ribalta solo per le persecuzioni dell’Isis. Anche al di là del Califfato, l’Iraq è ben lungi dall’essere uno Stato unitario, con i curdi che difendono la loro, ampia, autonomia, gli sciiti che si sono presi la rivincita sui sunniti loro repressori durante la dittatura di Hussein, i sunniti che si sentono a loro volta oppressi e non rappresentati dal governo centrale.

In Afghanistan l’etnia più consistente, circa il 40% della popolazione, è costituita dai pashtun, sunniti, che hanno sempre dovuto fare i conti con altre etnie non trascurabili, come i tagichi (più di un quarto della popolazione), gli uzbechi o gli hazara, sciiti e appoggiati dal vicino Iran. Tra tutte queste popolazioni non sarà facile trovare un assetto stabile e pacifico.

Anche il pericolo talebano rischia di essere sottostimato, se ci si limita all’entità degli attacchi terroristici, comunque numerosi anche recentemente, come dimostra il recente assalto alla scuola militare in Pakistan che ha causato 140 morti, in maggior parte ragazzi. Obama non ne ha parlato, ma il Pakistan non è più un alleato affidabile dell’Occidente come è stato in passato e il viraggio verso un islamismo sempre meno moderato è evidente, basti pensare ad Asia Bibi e ai continui attacchi ai cristiani. Inoltre, le zone tribali al confine con l’Afghanistan sono comunque fuori del controllo del governo centrale e danno ospitalità a talebani e ad altri estremisti islamici.

Insomma, Obama pare essersi lasciato prendere da quello che in inglese si definisce wishful thinking, ma la realtà sembra ben peggiore. Come detto, lo scopo era probabilmente solo quello di giustificare la decisione di ritirarsi dall’Afganistan e mantenere una delle sue tante promesse e questa, forse, è quella che gli ha fatto conferire il Nobel per la Pace.