Putin ha rotto gli indugi e dichiarato la sua intenzione di cancellare il contestato progetto South Stream, il gasdotto che avrebbe dovuto portare il gas russo in Austria e poi in Italia e resto d’Europa, evitando l’Ucraina. Saipem e altre aziende ed enti coinvolti nell’operazione, preoccupati del brusco calo in Borsa, si sono affrettati a sottolineare l’assenza di comunicazioni ufficiali da Gazprom, leader del progetto con il 50% delle quote.
Il progetto South Stream è fortemente osteggiato dall’Ue, che ha fatto decise pressioni su Serbia, Ungheria e Bulgaria perché ne uscissero, e ovviamente dagli Stati Uniti nell’ambito delle sanzioni contro la Russia per la questione ucraina. Proprio il blocco delle autorizzazioni da parte della Bulgaria è la giustificazione addotta da Putin.
Lo stesso Eni si è dimostrato freddo verso il progetto di cui è socio e il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, lo aveva esplicitamente tolto dalla lista delle priorità, a favore del concorrente Tap, che dovrebbe portare in Europa, attraverso l’Italia, il gas dall’Azerbaigian.
Suona quindi strana la sorpresa che traspare da titoli e commenti sulla stampa, non solo italiana, e l’impressione è che si fosse convinti di aver messo sotto scacco Putin, che ha reagito invece con una sorta di “mossa del cavallo”. La Commissione europea dichiara di non essere mai stata contro South Stream e conferma la riunione del 9 dicembre per discutere il progetto, mentre Putin apre nuovi fronti.
In un’intervista all’agenzia turca Anatolu prima della sua visita ad Ankara, riportata da La voce della Russia, Putin ha delineato una chiara strategia economica nei confronti della Turchia, pur non tacendo le forti divergenze, sottolineate anche da Erdogan, nelle posizioni verso la Siria. Il regime di Assad, fino a tempi recenti forte alleato della Turchia, ha ora in Erdogan un acerrimo nemico ed è invece sostenuto dalla Russia. Altro punto di contrasto è l’annessione russa della Crimea, condannata dalla Turchia che difende la minoranza tatara, cui esponenti hanno manifestato ad Ankara contro Putin.
Putin ha dichiarato la sua intenzione di rafforzare notevolmente i rapporti economici con la Turchia, sottolineandone la posizione di secondo importatore di gas russo, dopo la Germania. Ha anche confermato la partecipazione russa alla costruzione della prima centrale nucleare turca, la collaborazione nell’high-tech, lo sviluppo del turismo, più di 4 milioni di turisti russi all’anno in Turchia, e l’importazione di prodotti agricoli, con esplicito riferimento alla sostituzione di prodotti dei paesi che, a differenza della Turchia, partecipano alle sanzioni contro la Russia. Chiaro avvertimento anche per l’Italia.
Per quanto riguarda il gas, Putin ha promesso una riduzione del prezzo del 6% da gennaio e l’aumento della fornitura per 3 miliardi di metri cubi, circa il 12% in più. Il potenziamento avverrà sul gasdotto Blue Stream, che connette direttamente Russia e Turchia, così da ridurre l’incidenza del gas che transita dall’Ucraina, attualmente circa il 40% della fornitura russa alla Turchia.
Il pezzo forte della proposta di Putin è tuttavia la costruzione di un nuovo gasdotto parallelo a Blue Stream, con la stessa capacità di trasporto di South Stream, utilizzando le strutture in suolo russo previste per il progetto accantonato. Il nuovo gasdotto correrebbe sotto il Mar Nero per approdare in Turchia, invece che in Bulgaria, e poi continuare fino al confine greco. Di fatto, un sostituto di South Stream e un concorrente diretto di Tap e del suo gas azero. Una lettera di intenti su questo gasdotto è stata firmata ad Ankara tra Gazprom e Botas Petroleum Pipelines Corporation, società di Stato turca, alla presenza di Putin e Erdoğan.
È possibile che Putin stia bluffando per costringere l’Ue ad accettare il South Stream e superare le obiezioni politiche e giuridiche. Secondo le regole comunitarie, i gasdotti non possono essere gestiti dai produttori di gas, come avverrebbe per il South Stream a maggioranza Gazprom. Il 9 dicembre, la Commissione dovrà decidere se andare a vedere il possibile bluff russo, o trovare qualche escamotage giuridico e riportare in vita South Stream. Pressioni in tal senso verranno fatte dai paesi balcanici interessati, mentre c’è da aspettarsi un’azione Usa sulla Turchia perché rifiuti la proposta di Putin.
Tuttavia, Ankara non è più il fedele alleato di un tempo e le divergenze con la confusa politica degli Stati Uniti in Medio Oriente sono evidenti, com’è evidente il tentativo di Erdoğan di trasformare la Turchia in una potenza regionale in antitesi ad Arabia Saudita e Iran. La proposta di Putin pone la Turchia ancora più al centro del risiko energetico ed Erdoğan può giocare su entrambi i tavoli: da un lato, sostituire South Stream con il nuovo gasdotto russo e, dall’altro, concordare con la Russia un via libera al progetto Tap, aggiungendo un altro gasdotto in territorio turco, che è però mal visto dai russi perché porterebbe il concorrente azero direttamente in Europa, per di più passando per la Georgia.
Il fallimento di South Stream sarebbe particolarmente dannoso per Saipem e il suo contratto da 2 miliardi di euro, anche se sembra protetto da cospicue penali in caso di cancellazione. Si potrebbe tuttavia ipotizzare il passaggio del contratto dal vecchio progetto al nuovo, visto che in entrambi il committente sarebbe Gazprom, ma qui entra la geopolitica, con il probabile intervento di Ue e Usa per bloccare la partecipazione di Saipem in base alle sanzioni alla Russia.
La decisione passerebbe al governo italiano. Nella vicenda South Stream, il governo ungherese ha portato avanti gli accordi con la Gazprom in nome dell’interesse nazionale, malgrado le reprimende di Bruxelles. Si comporterà Renzi come l’ungherese Orbán, o preferirà riprendere a tifare per il South Stream?