E’ passata sotto un sostanziale silenzio stampa, anche negli Stati Uniti, ma la Risoluzione 758 approvata il 4 dicembre dalla Camera dei rappresentanti è dirompente. Questa risoluzione, approvata in tempi molto rapidi e con solo 10 voti contrari, infatti, apre la strada per il passaggio dall’attuale ripresa della Guerra fredda a uno scontro militare diretto con la Russia.
Dopo qualche decina di paragrafi di accuse alla Russia, la Risoluzione continua con una serie di capoversi in cui si invita il presidente Obama ad una serie di azioni per contrastare la politica aggressiva della Russia contro gli Stati Uniti e i suoi alleati, anche se l’ultimo paragrafo si augura il ristabilirsi di “relazioni tra i popoli degli Stati Uniti e della Russia sulla base della comune ricerca di democrazia, diritti umani e pace tra tutte le nazioni”.
Le accuse alla Russia, più esattamente a Putin, si estendono dall’Ucraina alla Moldavia e alla Georgia e il documento precisa che “l’aggressione politica, militare ed economica della Federazione russa contro l’Ucraina e altri Paesi sottolinea la perdurante importanza della NATO come la pietra angolare della difesa euro-atlantica”, richiamando l’articolo 5 del trattato che recita: “un attacco armato contro uno o più degli Stati membri deve essere considerato un attacco contro tutti”.
Il tono sembra quello di un vero e proprio ultimatum, con l’invito al presidente degli Stati Uniti di fornire al governo dell’Ucraina “gli strumenti di difesa, i servizi e il training necessari a difendere efficacemente il proprio territorio e la propria sovranità”, accanto all’attività di informazione e intelligence.
Segue l’invito a tutti i membri della Nato, agli alleati degli Usa in Europa “e altre nazioni nel mondo” a sospendere ogni collaborazione militare con la Russia, inclusa la proibizione della vendita al governo russo di materiale militare, “letale o non letale”.
Di conseguenza, si invita il presidente ad assicurare che le forze armate degli Stati Uniti e degli altri Paesi NATO siano in grado di assolvere i compiti previsti dal suddetto articolo 5 e di indicare le misure per superare le eventuali deficienze. In altri termini, di verificare se si è pronti a entrare in guerra.
Strano che un simile documento sia passato praticamente sotto silenzio, a parte un deciso intervento di Ron Paul, già deputato Repubblicano e candidato alla presidenza degli Stati Uniti, e ora a capo di un think-tank libertario e anti interventista. Paul si dichiara molto preoccupato per questa risoluzione, che gli ricorda l’Iraq Liberation Act del 1998 e la susseguente guerra, e rimarca come una guerra contro la Russia porterebbe a una distruzione totale. Elenca poi diversi punti che, a suo parere, sono deboli o contraddittori.
Per esempio, si chiede se gli interventi americani in favore del rovesciamento del governo eletto non rappresentino essi pure violazioni della sovranità ucraina; richiama il fatto che le commissioni di inchiesta sull’abbattimento dell’aereo malese non hanno ancora accertato i responsabili, che la risoluzione identifica nei separatisti filorussi, né che si sia trattato di un missile; ricorda che non fu la Russia ad iniziare il conflitto del 2008, bensì la Georgia. Si chiede, inoltre, perché il principio di autodeterminazione non valga per i russi dell’Est dell’Ucraina.
La risoluzione presenta qualche altro aspetto “problematico”, per esempio nei diversi paragrafi dedicati all’informazione, in cui si accusano i media russi di essere strumenti della propaganda governativa, accusa realistica, ma la soluzione proposta è la controinformazione in lingua russa delle emittenti americane La Voce dell’America e Radio Europa Libera. Ron Paul non ha tutti torti nell’affermare che i toni ricordano quelli della guerra di propaganda e contropropaganda di un tempo. Personalmente, ricordo che Radio Europa Libera ebbe una parte rilevante nella rivoluzione del ’56 in Ungheria, ma che poi gli ungheresi furono lasciati soli di fonte ai carri armati russi.
Il documento sembra una ripresa della teoria del brinkmanship di Foster Dulles, segretario di Stato americano nei tempi più duri della Guerra fredda: “La capacità di andare fino all’orlo, senza cadere nella guerra”. Pericolosa allora, quando si fronteggiavano due blocchi, questa strategia lo è ancora di più adesso, di fronte a una pluralità di attori in uno scenario geopolitico a “geometria variabile”.
La decisione della Camera americana avviene mentre è in corso una guerra del petrolio, materia strategica per eccellenza, in cui un alleato storico come l’Arabia Saudita ha scatenato una guerra dei prezzi proprio contro gli Usa, più che contro il presunto nemico comune, la Russia, che stringe intanto accordi con la Turchia, altro ex alleato americano, in funzione anti Usa e UE.
Anche la Risoluzione 758 affronta il problema energetico e invita i Paesi europei a differenziare le proprie fonti energetiche per ridurre la dipendenza da Mosca e suggerisce di promuovere l’esportazione di gas naturale e altri combustibili dagli Stati Uniti (e da altri Paesi), invitando il presidente ad accelerare le procedure in proposito; come noto, la legge americana impedisce l’esportazione di prodotti petroliferi greggi dagli Usa.
Un collaterale aspetto di “marketing” è riscontrabile anche nel punto riguardante il rafforzamento del dispositivo militare NATO. L’industria degli armamenti europea è rimasta danneggiata dalle sanzioni contro la Russia e il rafforzamento dell’apparato militare europeo, e della relativa spesa, può rappresentare uno sbocco alternativo alle commesse perse con la Russia.
Ovviamente, si aprirebbero così nuovi mercati anche per l’industria statunitense e, chissà, forse il governo Renzi sarà costretto a riaprire il dossier F-35. Speriamo che tutto questo serva almeno a non indebolire la nostra industria della difesa, Finmeccanica in testa.