La vicenda ucraina sembra per il momento stabilizzata, almeno così la pensano i mercati finanziari in ripresa dopo il trauma iniziale causato dall’intervento russo in Crimea. La situazione, tuttavia, rimane fluida e pericolosa, perché la sconsiderata azione di qualche gruppo estremista, russo o ucraino, potrebbe farla precipitare. Inoltre, il referendum previsto per il 16 marzo in Crimea sulla eventuale annessione alla Russia non contribuisce certo all’abbassamento dei toni.

Il gioco, comunque, sembra essere ancora condotto da Vladimir Putin, che dimostra di aver tratto grande profitto dalla lunga permanenza nel KGB, i servizi segreti dell’Unione Sovietica, dove ha evidentemente imparato ad analizzare a fondo le situazioni, valutando tutti i fattori in gioco e, soprattutto, il grado di preparazione e la capacità di reazione degli altri “giocatori”.  

Su questa base, ha calcolato i rischi e adeguato la sua strategia, che ricorda quelle dei trader di Wall Street, i quali ad un certo punto, però, smettono di investire e ritirano i profitti. Mauro Bottarelli ha descritto molto bene il gioco di Putin sotto questo aspetto e i vantaggi che gliene verranno, ma ora il gioco sta diventando anche per lui un po’ più rischioso e ci si può cominciare a chiedere quando si fermerà per riscuotere tali profitti.

UE e US sembrano essere stati presi in contropiede, come risvegliati improvvisamente dai loro sogni. Ciò non stupisce per Obama, con la sua lunga serie di prove deludenti in politica estera: basti pensare alla partecipazione all’attacco alla Libia o la sua minaccia di bombardare la Siria, per fermare la quale Papa Francesco ha scritto personalmente proprio a Putin. Né il premio Nobel per la pace Obama, né Gran Bretagna e Francia sembrerebbero perciò in grado di salire in cattedra e predicare contro l’invasione di altri Paesi.

Se fossero stati meno insipienti, o cinici, americani e europei avrebbero utilizzato prima quella diplomazia che ora invocano, evitando di precipitare in difficoltà in gran parte prevedibili. Infatti, era fortemente improbabile che la Russia non reagisse di fronte a quello che considera uno “scippo” dell’Ucraina da parte degli “occidentali”. In questo modo hanno solo strumentalizzato gli ucraini coraggiosamente scesi in piazza, come a suo tempo successo con le Primavere arabe e i susseguenti, dolorosi, “inverni” .

Rimane più sorprendente la confusione nella UE, certamente non per la ben nota mancanza di una politica estera unitaria, ma perché era difficile ignorare i risvolti economici della crisi. Ora continuano a minacciare il ricorso a “pesanti” sanzioni contro la Russia ed è significativa la risposta di Putin a queste minacce: “In questo mondo strettamente interconnesso, possiamo ovviamente danneggiarci l’un l’altro, ma è un danno reciproco e loro dovrebbero pensarci.

Peraltro, sul tipo di sanzioni i problemi cominciano proprio all’interno dello stesso mondo occidentale, i cui Stati hanno interessi divergenti, quando non contrastanti, come appare nell’analisi di Paolo Raffone, che dimostra come la posta in gioco sia molto più vasta che le pur vaste pianure ucraine.

Una pesante arma teoricamente a disposizione per le sanzioni è rappresentata da gas e petrolio, la cui esportazione conta per più del 50% del bilancio statale russo. Il blocco di queste esportazioni metterebbe in gravi difficoltà la Russia, ma con quali costi e a carico di quali Paesi?

Secondo la U.S. Energy Information Administration (EIA), la Russia (dati 2012) esporta circa il 70% del petrolio che produce, principalmente verso Germania, Olanda e Polonia, mentre l’Asia, in particolare la Cina, assorbe il 18% delle esportazioni. Il petrolio viene esportato tramite oleodotti (anche attraverso l’Ucraina), per nave e anche su ferrovia verso la Cina: una complessa rete, non facilmente bloccabile.

Più lineare l’esportazione del gas naturale russo, che avviene in gran parte con gasdotti, accanto a una certa quantità esportata come gas liquido. Il maggior importatore è di nuovo la Germania, con il 24%, stessa percentuale del totale dei Paesi dell’Europa Orientale, seguono la Turchia con il 19% e l’Italia con l’11%.

L’Ucraina, totalmente dipendente dal gas russo, è attraversata da quattro gasdotti che portano il gas principalmente all’Italia e poi alla Germania. Un paio di giorni fa, Alexey Miller, capo della Gazprom, maggiore produttore russo di gas, ha annunciato l’eliminazione da aprile delle tariffe di favore riservate all’Ucraina, che ha già un debito di 1,5 miliardi di dollari per bollette non pagate. Miller ha però detto che si sta pensando a un prestito da 2 a 3 miliardi di dollari all’Ucraina, surclassando così l’annunciato aiuto di Obama per un miliardo di dollari.

Se gli Stati Uniti sono immuni da ricatti su petrolio e gas, non si può quindi dire la stessa cosa per gran parte dell’UE, che dipende dalla Russia per circa un quarto dei suoi consumi di petrolio e gas. La Russia, con il 30%, è il nostro maggior fornitore di gas, seguita dall’Algeria, con la quale i rapporti non sono splendidi dopo l’azione della nostra magistratura sul caso Saipem nel Paese nordafricano. Inoltre, la nostra insipiente politica e l’esagitata opposizione ambientalista hanno impedito la costruzione di sufficienti rigassificatori, limitando così anche l’importazione di gas liquido via mare. Sul versante petrolio, abbiamo a che fare con la situazione instabile della Libia, nostro principale fornitore.

Va poi osservato che petrolio e gas rappresentano il 55% delle fonti di energia in Germania, ma il 75% per l’Italia, rendendo il nostro Paese molto più vulnerabile, in particolare per il gas. In più, il gas che importiamo dalla Russia passa per l’Ucraina, mentre la Germania può contare su due gasdotti diretti con la Russia, il cosiddetto North Stream. La frase di Putin citata più sopra è, almeno per noi, del tutto veritiera.

Possiamo immaginare, perciò, che il vero canale diplomatico tedesco non siano le telefonate della Merkel, ma il lavoro dietro le quinte dell’ex cancelliere socialdemocratico, Gerhard Schroeder, presidente del suddetto North Stream e buon amico di Putin. Forse non è del tutto peregrina l’idea di usare nelle trattative un altro amico personale di Vladimir, Silvio Berlusconi, senza troppo rumore e sempre che i giudici siano d’accordo.