Le strategie di Mediaset nella televisione a pagamento, delineate ieri nel corso dell’assemblea degli azionisti, stanno sollevando una certa attenzione e possono essere lette sotto diversi profili. Innanzitutto quello prettamente industriale, che ha raccolto commenti sostanzialmente positivi, come positivo è l’attuale andamento del titolo in Borsa. L’idea di creare una piattaforma europea nel settore delle pay-tv sembra infatti tutt’altro che peregrina e le premesse paiono esistere in prospettiva, almeno per quanto riguarda Italia, Spagna e Francia.

Il progetto illustrato da Pier Silvio Berlusconi prevede la costituzione di una società ad hoc in cui far confluire il 100% di Mediaset Premium e la quota del 22% detenuta in Digital Plus attraverso Mediaset España. Un primo rafforzamento potrebbe venire dal coinvolgimento di Telefonica, che detiene anch’essa il 22% di Digital Plus, con la possibilità di acquisire la maggioranza da Prisa, la società editoriale spagnola che, in difficoltà finanziarie non indifferenti, potrebbe vendere in tutto o in parte la sua quota del 56%. Si parla poi di un interesse per l’operazione da parte di Canal Plus, la pay-tv di proprietà del colosso francese Vivendi, che renderebbe la nuova piattaforma in grado di competere con il potente gruppo di Murdoch, pur acciaccato da una serie di scandali. Per inciso, Digital Plus nel 2011 cambiò il suo nome in Canal Plus, essendo questo il suo canale più seguito.

Analizzata sotto il profilo dei settori coinvolti, l’operazione porta in evidenza una sempre più netta separazione tra la tv in chiaro generalista e la pay-tv. Inoltre, rimane anche confermata l’interconnessione tra tv e telefonia: abbiamo già visto il ruolo di Telefonica, ma anche Vivendi è fortemente impegnata in questo settore. Vi è il rischio che si riproduca quel potenziale conflitto di interessi che ha opposto Telefonica all’entrata di altri operatori telefonici in Telecom. Forse è questa una delle ragioni per cui Pier Silvio Berlusconi, pur dando per scontato l’avvio dell’operazione, è stato molto più “sobrio” nell’indicare i potenziali soci.

Dietro le quinte si agita intanto un altro nome: Al Jazeera. L’emittente del Qatar si presenta come opzione strategicamente valida, non solo per l’apertura importante sul mercato arabo, ma anche per le coperture finanziarie che potrebbe fornire. Berlusconi ha sottolineato che Mediaset ha terminato la ristrutturazione dei propri costi, si direbbe con successo, dato che il 2013 si è chiuso in positivo dopo il disastroso 2012. Tuttavia, in casa Mediaset si preferisce invitare alla prudenza, in attesa che una ripresa economica più accentuata ridia fiato anche alla spesa pubblicitaria, fondamentale per il settore.

L’intervento di Al Jazeera introduce un elemento geopolitico, tanto più nel momento in cui un’altra società araba, Etihad, è in corsa per la compagnia aerea di bandiera, anche qui con la presenza dei francesi, cioè Air France. Sembrerebbe che al vecchio detto “Franza o Spagna…” debbano essere aggiunti gli arabi, sempre in attesa dei tedeschi, per rimanere alla Storia.

Al Jazeera pone qualche problema in più, perché il Qatar è molto attivo nelle vicende del Medio Oriente e dell’Africa del Nord, per esempio in Siria ed Egitto, appoggiando movimenti islamici anche non moderati. La stessa Al Jazeera è stata criticata per comportamenti da portavoce di un certo islamismo.

Vi sono poi dei risvolti anche per la politica interna. Quanto finora esposto parrebbe indicare una Mediaset che si muove, finalmente, come un’azienda alla ricerca di alleanze industriali a livello internazionale in un settore che promette sviluppi favorevoli. Sarebbe ingenuo pensare che un operatore nei media possa essere indifferente alla politica e, per esempio, in Spagna è attualmente in corso un conflitto, anche a colpi di spot televisivi, da parte delle televisioni commerciali, Mediaset España in testa, contro il governo, che ha deciso la chiusura di nove canali per un errore, sostengono le compagnie, del precedente governo.

Tuttavia, non può non colpire la oggettiva assenza in queste strategie di ogni riferimento a Berlusconi senior, che con le sue esternazioni elettorali potrebbe, anzi, danneggiarle. Credo che questa assenza debba essere considerata positiva da tutti e che tutti ci si auguri che il risultato sia il rafforzamento di un’importante società italiana. Si potrebbe così anche aprire la possibilità di risolvere i problemi politici accumulati nelle televisioni in chiaro, a partire dalla Rai.

Da segnalare, infine, l’attacco di Fedele Confalonieri a Google, Facebook e Amazon, accusate di fare utili in Italia senza pagarvi tasse e con scarsi risultati occupazionali. Alle reti televisive italiane vengono così sottratti centinaia di milioni di pubblicità i cui profitti vanno all’estero, per cui il presidente di Mediaset si è dichiarato favorevole a una web tax. Le critiche di Confalonieri sembrano giustificate, ma, come sempre, “tutti i salmi finiscono in gloria”, cioè in tasse.