Sembra proprio che per Telecom Italia non vi sia pace. L’assemblea di metà aprile, cui aveva partecipato il 56% del capitale, aveva già sollevato parecchi dubbi sul futuro della società con l’avvio delle procedure di scioglimento della Telco, socio di maggioranza relativa con il 22,4%. I fondi di investimento, riuniti in Assogestioni, avevano raccolto più voti della Telco, ma la maggioranza del Cda era rimasta a quest’ultima, avendo i fondi presentato solo tre candidati.

Marco Fossati, che con la Findim ha il 5% del capitale e che l’anno scorso aveva chiesto la revoca del Cda per conflitto di interessi dei rappresentanti di Telco, data la presenza predominante di Telefonica, sembrava aver concesso una tregua, pur dicendosi pronto a riprendere la guerra se i conflitti di interesse fossero riapparsi. La tregua sembra ora già finita e Fossati ha presentato un esposto alla Consob chiedendo che vengano chiariti i reali assetti di controllo della Telecom, ipotizzando un controllo di fatto sulla società e in particolare nell’approvazione dei bilanci e la composizione dei Cda.

L’azione della Findim non è di scarso rilievo, visto che nell’esposto si indica la possibilità di impugnare l’ultimo bilancio, quello del 2013. Dall’altra parte si risponde che con lo scioglimento di Telco ciascun socio entrerà direttamente in possesso delle azioni Telecom e Telefonica deterrà, perciò, solo circa il 15% del capitale. Degli altri soci di Telco, Generali e Mediobanca hanno già dichiarato l’intenzione di uscire dalla società quando le condizioni lo permetteranno e probabilmente farà altrettanto anche Banca Intesa.

Quindi, si sostiene, Telecom Italia si avvia a diventare una vera e propria public company, con la consistente presenza di fondi di investimento che intendono partecipare attivamente, come dimostrato nella recente assemblea. Telefonica, dal canto suo, fa presente di non avere rappresentanti propri in Cda e di non aver mai interferito nelle attività di Telecom Italia in Brasile, dove le due società sono concorrenti.

E qui si ritorna al vero problema, public company o no, cioè la sostanziale concorrenza di Telefonica a Telecom in un’area importante come il Sudamerica. È probabile abbiano ragione i commentatori che sottolineano che difficilmente Telefonica, con il suo scarso 15%, riuscirà a condizionare la gestione della società. Tuttavia, e senza essere troppo maliziosi, è difficile non pensare a un’azione di freno sulle politiche di espansione di Telecom, almeno in aree in cui può infastidire la società spagnola.

Si fa notare, per esempio, che la nuova situazione potrebbe fermare l’intervento dell’antitrust brasiliano, ma questo impedirebbe comunque un rafforzamento in quel Paese di Telecom, che nel frattempo ha messo in vendita la sua società in Argentina, decisione anche questa discutibile. Inoltre, la presenza diretta di Telefonica nell’azionariato aumenta la difficoltà di possibili alleanze con altri operatori tese a espandere la penetrazione di Telecom in altri Paesi, come nel caso recente dei cinesi di Hutchison Wampoa.

Diventa, quindi, sempre più urgente che venga chiarito il ruolo reale di Telefonica, difficilmente riducibile a quello di semplice socio finanziario, ma neppure accettabile in quello del concorrente interno che frena. Forse è giunto il momento di vedere se vi sono possibilità di una vera e propria collaborazione tra le due società, dando per escluso che Telefonica voglia acquistare il controllo effettivo di una Telecom limitata al mercato italiano.

Il settore è in forte movimento e tutti i concorrenti si stanno rafforzando, mentre Telecom sembra ferma all’estero e in difesa in Italia. Sarebbe anche bene non dimenticare il forte indebitamento di Telecom a fronte dei pesanti investimenti che il settore richiede. Ciò nonostante, l’attuale management ha deciso di non cedere la rete fissa, come previsto precedentemente proprio per ridurre i debiti.

C’è da sperare che la ragione non stia solo nella volontà di ostacolare i concorrenti che da questa rete devono comunque passare, ma sia collegata allo sviluppo della banda larga e ultralarga, tema che stava molto a cuore al precedente governo e che dovrebbe essere caro anche all’attuale. L’Italia è infatti piuttosto indietro rispetto ai principali paesi europei e ciò danneggia la nostra competitività.

Ecco una buona occasione per Renzi per dimostrare che il suo dinamismo non è solo elettorale, ma può contribuire in modo decisivo a portare le nostre aziende fuori dalle secche in cui le hanno portate l’insipienza dei manager e dei precedenti governi, in questo caso della sua parte politica. Altrimenti, dovremo rassegnarci ad assistere a nuove puntate della telenovela Telecom.