Stando a diverse notizie di cronaca di questi ultimi tempi, sembrerebbe in corso una rinascita vigorosa del Minculpop. Per i più giovani, il Minculpop era il ministero della Cultura popolare durante il regime fascista, in pratica il ministero che si occupava della propaganda del regime attraverso le “veline” che suggerivano, ma di fatto ordinavano, ciò che i giornalisti dovevano scrivere e con la censura di tutto ciò che poteva suonare critica.
Il redivivo Minculpop si è messo al servizio del pensiero unico dominante, quello degli “illuminati” che vorrebbero far progredire l’umanità con aborto libero, eutanasia per i bambini, superamento dei generi, matrimonio e adozioni per i gay, e via “liberando”.
Azionista importante di questo nuovo ministero della propaganda sembra essere la lobby LGBT, un acronimo cui sarà bene prestare sempre più attenzione. La sigla, di origine americana, sta per Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, ma ha una sua versione più completa che aggiunge una Q, per questioning, quelli che ancora sono indecisi su dove collocarsi, e una A, che sta per “alleati”.
Per sapere chi sono questi ultimi sono andato a consultare uno dei tanti uffici LGBT aperti nelle università americane, con il compiacimento di autorità accademiche spesso insofferenti verso associazioni studentesche di tipo “confessionale”, ritenute settarie e intolleranti. Lo LGBTQA Office dell’Università dell’Idaho, per esempio, definisce “alleato” chi lavora per sostenere le persone LGBTQ, contestando i concetti tradizionali di genere e sessualità, che sono inutilmente restrittivi e oppressivi.
L’immagine del Minculpop è stata usata da Marco Tosatti in un articolo del dicembre 2013 sul La Stampa, che faceva a sua volta riferimento a un articolo di Massimo Introvigne sulla Bussola Quotidiana. L’oggetto di entrambi era il documento pubblicato il 13 dicembre dall’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del Ministero delle Pari Opportunità, dal significativo titolo “Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT”, che prevedono addirittura un “decalogo” la cui trasgressione porterebbe a una violazione delle norme deontologiche, passibile quindi di deferimento all’Ordine dei Giornalisti.
Il disegno di legge che va sotto il nome di Ivan Scalfarotto, deputato PD e sottosegretario nel governo Renzi, è stato approvato la scorsa estate alla Camera ed è ora in attesa di essere discusso al Senato. Tra gli oppositori a questa legge vi è Mario Adinolfi, giornalista e deputato PD, che all’inizio di giugno ha invitato i senatori PD a opporsi alla sua approvazione e che ha scritto un libro, Voglio la mamma, contro aborto, eutanasia e matrimonio gay.
Il 19 giugno, con un tweet, Adinolfi ha denunciato il blocco da parte di Facebook aveva dell’accesso sia al suo profilo personale che alla pagina di Voglio la mamma, già parzialmente oscurata in passato da parte del network, censura poi rientrata a seguito delle proteste – VLM ha raggiunto i 23000 simpatizzanti. L’oscuramento è durato solo 24 ore, ma è significativo del clima che si sta cercando di instaurare.
Lo stesso Adinolfi, nel suo blog, denuncia le aggressioni alle Sentinelle in piedi da parte di facinorosi LGBT o i tentativi di impedire la presentazione del suo libro all’Università di Roma. Anche alla Luiss, nello scorso maggio, un convegno sulla famiglia con la partecipazione di Costanza Miriano e di Mons. Paglia è stato rinviato per gli ostacoli posti dalla comunità LGBT. Se passerà la proposta Scalfarotto, prepariamoci ad avere anche nelle nostre università uffici LGBT, tra i cui compiti ci sarà quello di far proibire ogni esposizione di pensiero difforme da quello unico, il loro.
Il succitato documento dell’Unar dichiara che con il “decalogo” per i giornalisti l’Italia si sta avvicinando ai Paesi civili: non a caso il documento è parte del progetto “LGBT Media and Communication”, finanziato dal Consiglio d’Europa. Penso che l’Unar ritenga insoddisfacenti i tempi di avvicinamento alla civiltà, perché in fondo Adinolfi lo hanno sì censurato due volte in poco tempo, ma poi lo hanno ripristinato in fretta. E anche le Sentinelle in piedi sono state sì aggredite ma solo da militanti LGBT, mica caricate direttamente dalla polizia come in Francia.
La conferma della nostra arretratezza viene da un paio di casi recenti, accaduti in altri Paesi più “civili”. John Waters è un giornalista irlandese di cui Ilsussidiario.net ha pubblicato molti articoli e interviste. John ha lavorato per più di vent’anni al quotidiano The Irish Times, da cui è stato “spinto” a dimettersi all’inizio di quest’anno sotto l’imperversare di accuse di omofobia, aggravate dal fatto che John si dichiara cattolico. Questo nella “cattolica” Irlanda.
L’altro fatto riguarda Mozilla, di cui molti conoscono e usano il browser Firefox. Nello scorso aprile, il suo amministratore delegato, Brendan Eich, è stato anch’egli “dimissionato”con la ormai usuale accusa di omofobia. Nel 2008, Eich aveva fatto un versamento a favore della cosiddetta Proposition 8, l’iniziativa con cui si è tentato in California di impedire la legalizzazione dei matrimoni gay. Ok Cupid, un sito web che organizza incontri, all’inizio di aprile ha bloccato l’accesso al sito per chi usava Firefox con l’accusa che, se fosse passata la proposta sostenuta da Eich, “ l’8% delle relazioni per la cui realizzazione abbiamo lavorato così duramente sarebbero illegali.”
Sotto la pressione della comunità di Mozilla, e pare della maggioranza dei suoi dipendenti, Brendan Eich ha finito per dare le dimissioni, immediatamente accettate. Nel comunicato della società si legge che Mozilla “ crede nell’uguaglianza e nella libertà di parola e pensiero.”
Benvenuta Italia nel nuovo mondo!