A quanto sembra, la dolorosa vicenda dell’Ilva di Taranto potrebbe trovare una soluzione, almeno dal punto di vista industriale, con i colloqui in corso con il gruppo franco-indiano ArcelorMittal. I contatti per l’acquisto della più grande acciaieria europea da parte del più grande gruppo mondiale nel settore dell’acciaio sono confermai sia da parte italiana che da parte del capo di ArcelorMittal, Lakshmi Mittal, che ha sottolineato, tuttavia, i complessi aspetti sociali, leggi ambientali e sindacali, legali e finanziari dell’eventuale operazione.



In effetti, i problemi sono molti e non di poco momento, anche a prescindere da quelli gravissimi relativi all’inquinamento e alla salute pubblica, con i conseguenti risvolti politici e giudiziari. Innanzitutto, il conglomerato produttivo derivante dall’acquisto porrebbe forti problemi sotto il profilo dell’antitrust e, in più, il rilancio dell’Ilva richiede investimenti notevoli, che si stimano nell’area dei 4 miliardi di euro nei prossimi anni. Attualmente il commissario straordinario Piero Gnudi sta trattando con le banche un prestito ponte di 250 milioni di euro, per consentire all’azienda di andare avanti nel breve termine e cominciare a pagare i fornitori, soprattutto le piccole e medie imprese dell’indotto.



L’India è attualmente al terzo posto tra i paesi consumatori di acciaio, dopo Cina e Stati Uniti, e ArcelorMittal è il primo produttore di acciaio nel mondo con 96 milioni di tonnellate prodotti nel 2013, seguito dalla Nippon Steel con 50 milioni e dalla cinese Hebei con 46 milioni. L’Italia, seconda produttrice in Europa dopo la Germania, ha prodotto circa 24 milioni di tonnellate, contro le 27,2 dell’anno precedente, anche proprio in conseguenza della crisi dell’Ilva, che nel 2013 ha ridotto la produzione a circa 6 milioni di tonnellate contro gli 8,2 dell’anno precedente; l’altra azienda del gruppo Riva, la Riva Forni Elettrici, ha prodotto negli impianti del Nord Italia 7,6 milioni di tonnellate.



Risulta evidente la sempre più massiccia presenza dei produttori asiatici, anche grazie a una serie di acquisizioni e fusioni, che pone qualche problema anche sul fronte dei prezzi, con il rischio di penalizzare la produzione europea, come dimostra l’aggressività sotto questo profilo della Turchia. Situazione tanto più grave se si tiene conto della sovraccapacità produttiva europea, pur in presenza di una certa ripresa dei consumi, sia in Europa che negli Stati Uniti.

Il gruppo ArcelorMittal nasce nel 2006 con l’acquisto della Arcelor, azienda franco-spagnola con sede in Lussemburgo, da parte dell’indiana Mittal Steel ed è attiva anche nel settore estrattivo, causa del recente annuncio di una diminuzione dell’utile operativo proprio per la diminuzione del prezzo dei minerali di ferro. Il gruppo ha condotto negli ultimi anni un’attenta politica di ristrutturazione e innovazione per fronteggiare la crisi del settore, ma ha tuttora un forte debito che l’azionista di maggioranza, appunto la famiglia Mittal, ha promesso di riportare sotto i 15 miliardi di dollari.

Ci si può quindi chiedere quale possa essere l’interesse del gruppo indiano a entrare nell’Ilva, a parte bloccare l’entrata di qualche concorrente pericoloso. È probabile che si dia per scontato che l’Italia non lasci, malgrado tutto, andare in malora anche il settore siderurgico, malconcio non solo per l’Ilva, ma per la contemporanea crisi del gruppo Lucchini, già passato ai russi di Severstal e ora in amministrazione straordinaria. Per gli impianti di Piombino vi è l’offerta di un altro gruppo indiano, la Jvs di Sjjan Jindal, mentre a quelli di Trieste sembra interessata, una volta tanto, un’azienda italiana, il cremonese Gruppo Arvedi.

L’interesse dello Stato al salvataggio dell’Ilva potrebbe quindi assicurare condizioni di particolare favore al “salvatore”, su qualcuno o tutti i fronti coinvolti, dagli incentivi finanziari all’assunzione in toto degli aspetti sociali e ambientali, che tanto pesano sulla situazione di Taranto e che sono ben presenti al management di ArcelorMittal.

Ancora una volta si è ripresentata la questione dell’italianità e si è quindi parlato di un possibile coinvolgimento dei Marcegaglia e dell’onnipresente Cassa depositi e prestiti, la cui presenza avrebbe la funzione di assicurare la dovuta attenzione agli aspetti occupazionali e di permanenza delle produzioni in Italia, mentre il gruppo mantovano giocherebbe il ruolo di partner industriale italiano del colosso franco-indiano.

Il gruppo di Gazoldo, totalmente in mano alla famiglia Marcegaglia, è uno dei leader della siderurgia italiana, con più di 5 milioni di tonnellate prodotte e più di 4 miliardi di euro di fatturato, e si distingue per una particolare attenzione ai processi innovativi. Dati di tutto rispetto in Italia, ma non tali da condizionare gli indiani ed è quindi essenziale cercare di capire quale sarà il ruolo dei Marcegaglia nell’eventuale nuova Ilva, a mano a mano che si avranno notizie più certe sullo svolgimento dei contatti in corso.

ArcelorMittal, pur sottolineando un interesse reale per Taranto, pare per il momento considerare tempi lunghi, del tutto giustificati dalla complessità dello scenario descritto. Il problema è che a Taranto i tempi si stanno sempre più accorciando e decisioni devono essere prese e iniziative avviate al più presto possibile. La soluzione potrebbe essere data da un intervento tempestivo ma non avventato del governo, per evitare di trovarci quanto prima di fronte a un’altra e peggiore Alitalia.

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