Mentre scrivo non sono ancora note le decisioni ufficiali prese durante la riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea, ma qualcosa si può già dire per quanto concerne la situazione in Iraq. I 28 Paesi dell’Unione sembrano aver raggiunto un accordo su un paio di punti generali: la necessità di rafforzare gli interventi di tipo umanitario in favore delle decine di migliaia di iracheni in fuga sotto l’incalzare dei miliziani dell’Isis e la parallela necessità di bloccare tale avanzata.
Sarebbe stata grave l’assenza di un accordo sul primo punto, data la situazione drammatica di questi rifugiati, cristiani, yazidi e altre minoranze, anche musulmane, e delle zone che li ospitano, in gran parte all’interno della regione curda. C’è da augurarsi che a questa decisione politica seguano concrete iniziative governative che possano affiancarsi in tempi rapidi a quelle già in atto da parte di Ong e altre organizzazioni. Da parte sua, l’Italia ha già avviato la preparazione di invii di aiuti attraverso la nostra aeronautica.
A questo proposito, interessante il suggerimento del ministro degli Esteri spagnolo di destinare ai profughi gli stock di prodotti alimentari rimasti invenduti a seguito del blocco alle importazioni russe, risposta di Putin alle sanzioni occidentali.
Per quanto riguarda l’Isis, fatto salvo l’accordo di principio sulla necessità di fermarne l’avanzata e riconsegnare il territorio occupato al governo di Baghdad, permettendo così il rientro dei profughi, la decisione pare essere che, almeno per il momento, ciascuno Stato prosegua in modo indipendente. Questa posizione dipende sia da situazioni particolari di qualche Paese, ad esempio la Svezia ha dichiarato di non poter partecipare se non ad operazioni umanitarie, sia da obiettive difficoltà di tipo politico.
Obama ha dichiarato che, essendo stato rotto dai curdi il blocco dell’Isis, i rifugiati possono essere tratti in salvo, cosa che sta in effetti avvenendo almeno in parte, e ha deciso di sospendere i raid aerei. Questa decisione può essere stata influenzata da testimonianze sui danni arrecati ai civili dagli attacchi aerei, un pericolo già segnalato prima degli interventi e che potrebbe essere sfruttato dall’Isis, un po’ sul modello di Hamas a Gaza.
Il Regno Unito, i Paesi Bassi e la Francia si sono detti decisi a fornire armi ai curdi, mentre la Germania non ha negato tale possibilità, anche se ancora una decisione non è stata presa. I curdi sono armati prevalentemente con armi residuate dal periodo sovietico e, quindi, i rifornimenti di armi e munizioni dovranno arrivare dai depositi dei Paesi dell’Europa orientale, che si sono già dichiarati disponibili. Insomma, i curdi combatteranno con armi russe i miliziani armati con armi americane.
Accanto a una certa resistenza a un nuovo impegno militare in Iraq, dopo la ritirata delle forze della coalizione, vi è anche il problema dei rapporti tra il governo autonomo curdo e il governo centrale, in questi giorni nel mezzo di un ricambio al vertice. Il Primo ministro uscente, Nouri al-Maliki, ha accettato di dimettersi, facendo così rientrare il pericolo di una grave crisi non solo nel governo, ma anche all’interno della maggioranza sciita. Il suo successore, Haider al-Abadi è accreditato di una maggiore capacità di dialogo anche con curdi e sunniti, che potrebbe portare alla costituzione di un governo centrale rappresentativo di tutte le componenti irachene.
Tuttavia, ci vorrà del tempo prima che al-Abadi possa essere veramente operativo e, nel frattempo, ogni iniziativa dovrà essere concordata direttamente con il governo regionale curdo, che si trova in prima linea nel combattere l’Isis. Ciò pone problemi di politica internazionale, perché questi riconoscimenti della capacità di azione autonoma del governo regionale curdo potrebbero portare a una aperta richiesta di indipendenza. Quella di una divisione in tre parti dell’Iraq, tra curdi, sunniti e sciiti, è infatti una delle eventualità critiche che si sono ripresentate alla ribalta.
Inoltre, il ruolo fondamentale che stanno giocano i curdi, in assenza di una presenza incisiva del governo centrale, rischia di ridare vigore al mai cancellato sogno di una riunione in una sola patria dei curdi attualmente divisi tra Iraq, Siria e Turchia, e che proprio in quest’ultima trova la maggiore opposizione.
Questo complicata situazione rischia perciò di favorire i sanguinari miliziani dell’Isis e un intervento deciso per fermarli è ormai assolutamente necessario e urgente.