Non si può certo dire che Rossella Orlandi, la nuova direttrice dell’Agenzia delle Entrate succeduta ad Attilio Befera, sia partita con il piede giusto, viste le dichiarazioni che collegano l’evasione fiscale direttamente con la cultura cattolica, anzi ne fanno una sua responsabile primaria. Secondo la Orlandi, gli italiani si sentono sicuri nell’evadere perché tanto, prima o poi, ci sarà un condono: ecco dove la direttrice trova il collegamento con il cattolicesimo, con la sua dottrina del peccato, confessione e assoluzione.
Giustificata la reazione del mondo cattolico, Avvenire in testa, seguita dalle scuse dell’Orlandi con una lettera al suo direttore, scuse rivolte a tutti quelli che si erano sentiti offesi da quella che definisce “una battuta ironica”. A parte che le “battute” sembra possano essere rivolte solo ai cattolici, per tutti gli altri sono immediatamente un’odiosa e punibile discriminazione, si possono fare diverse altre osservazioni su questa improvvida uscita.
Innanzitutto, un alto funzionario dell’amministrazione pubblica responsabile di una funzione cosi delicata dovrebbe astenersi da battute, lasciandole ai comici e ai politici, che negli ultimi tempi tendono peraltro a sovrapporsi. Se proprio non riesce a farne a meno, almeno non avrebbe dovuto prendere ad obiettivo quella che è tuttora, per sua stessa ammissione, la cultura principale del Paese, anzi, la sua personale a quanto sostiene. Masochismo? Difficile ipotizzarlo per il capo dell’Agenzia delle Entrate, cui si addice meglio il sadismo.
Poi, equiparare i condoni al sacramento della Penitenza significa non avere le idee chiare sulla dottrina della Chiesa cattolica, il che è certamente ammissibile, ma denota una certa approssimazione di giudizio che contrasta con le caratteristiche che dovrebbe avere chi ricopre un ruolo così importante.
Fa trapelare, inoltre, una certa non dimestichezza con i dati oggettivi, che la funzione ricoperta invece richiederebbe, dato che proprio di recente una ricerca in campo europeo ha dimostrato come l’evasione non sia una prerogativa dell’Italia, né degli altri Paesi cattolici, ma si estenda anche a quelli protestanti. Per quanto poi riguarda la pratica dei condoni, essa è responsabilità solo dell’inefficienza della nostra amministrazione pubblica, compresa l’Agenzia delle Entrate, ed è questa l’unica vera differenza con altri Paesi.
C’è poi un altro aspetto per cui si può affermare che la Orlandi succede a pieno titolo a Befera, cioè la loro capacità di comprensione delle norme che devono applicare. Forse molti ricorderanno che Befera dichiarò pubblicamente essere impossibile pagare le tasse in Italia, anche un semplice 730, senza un commercialista. In questi giorni, la Orlandi ha affermato di averci messo un pomeriggio a capire come doveva pagare l’Imu, pur dichiarandosi un’esperta di questioni fiscali. Come può un semplice cittadino fidarsi dell’Agenzia dell’Entrate dopo queste dichiarazioni dei suoi direttori?

Anche perché si è aperta in parallelo un’altra polemica, innescata da Vincenzo Visco e da Raffaele Cantone, presidente dell’Anticorruzione, sull’inopportunità che vengano riconosciuti ai dipendenti dell’Agenzia incentivi collegati all’ammontare delle imposte accertate, in quanto ciò causa distorsioni nel loro operare. La Orlandi si è precipitata a difendere i suoi funzionari, ma alla luce delle suddette dichiarazioni sembra difficile non pensare che la farraginosità delle nostre leggi e regole sia foriera di queste e ben altre distorsioni, molto poco accettabili da uno Stato di diritto.
In questa situazione, l’invito alla fiducia nell’Agenzia delle Entrate e la promessa di semplificazione e maggiore trasparenza delle procedure, in futuro si intende, rischia di suonare come l’ennesima battuta.