Come ricorda Aleksandr Filonenko nella sua recente intervista, Ucraina significa terra di confine, quindi periferia. E’ una definizione, questa di periferia, di per sé riduttiva, come lo stesso Filonenko e molti altri hanno già segnalato nei loro interventi su queste pagine, in quanto non solo rimanda a una descrizione meramente geografica, ma lo fa in modo negativo.

Il nome Ucraina deriva dal suo essere periferia dell’impero russo, ma la sua associazione all’Ue non cambia radicalmente la situazione, trasformandola in una periferia dell’Unione Europea, o meglio della sua periferia orientale, affiancata agli altri Stati periferici, i cosiddetti Piigs, di cui fa parte anche l’Italia, destinati a ruotare attorno al centro germanico. La recente proposta di costruire un muro al confine tra Ucraina e Russia, attribuita al Primo ministro ucraino Iatseniuk, rafforzerebbe definitivamente questa interpretazione riduttiva e pericolosa di periferia.

Sulla testa del popolo ucraino, qualunque sia la lingua parlata, si sta svolgendo una battaglia tra Occidente e Russia per mantenere, o conquistare, la propria periferia, con la opzione secondaria di una divisione dell’Ucraina che consenta a ciascuno il proprio pezzo di questa terra di confine. Da entrambe le parti si è trasformata la questione in un pro o contro e da entrambe le parti, infatti, si registrano volontari da altri Paesi che combattono al seguito dei propri ideali, o delle proprie ideologie o rivendicazioni. Accanto a mercenari e a cospicue infiltrazioni di “volontari” dalla Russia e di una consistente attività dei vari servizi di intelligence e di controinformazione.

In questa grave situazione, a differenza di ciò che accade per Gaza, si parla però poco dei morti, ormai ben oltre i duemila e certamente non tutti combattenti, e si comincia solo ora a considerare le pesanti distruzioni nelle zone orientali e a chiedersi chi pagherà il conto. Forse quella Germania così restia ad aiutare gli altri periferici già nell’Ue? Forse si conta sull’Fmi, che ha promesso consistenti aiuti, ma imponendo le sue solite condizioni, che sarebbe impossibile rispettare per un Paese appena uscito da una guerra civile.

Eppure, un altro approccio era, ed è ancora, possibile: considerare quella terra di confine non come una periferia da contendere o emarginare, ma come una cerniera, un punto di incontro tra Ovest e Est, in nome di un’Europa reale, non della costruzione artificiale e ademocratica di Bruxelles. E’ ciò che ha rappresentato, a prezzo di sacrifici e vittime, il Maidan. In quella piazza si sono incontrate le varie e complesse anime del Paese, simbolo della complessità dell’Europa e della sua ricchezza umana, storica, religiosa e culturale, un incontro non semplice da mantenere anche nel dopo, quando le difficoltà concrete da fronteggiare tendono a riportare alla luce le discrepanze e a riaprire antiche ferite.

In questo l’Europa doveva aiutare il popolo ucraino, qualunque lingua parli, e non andare a un doloroso scontro con la Russia, che non avrà vincitori ma solo vittime. L’opportunità non è ancora del tutto persa, perché i contendenti si stanno rendendo conto che, comunque finisca questo braccio di ferro, il risultato sarà disastroso per tutti. Come dice Carlo Jean alla fine della sua intervista, per ragioni interne Obama rischia di portare lo scontro alle estreme conseguenze, richiamando alla memoria la dottrina del “camminare sull’orlo del precipizio” di Foster Dulles all’inizio della Guerra fredda. Il compito rimane quindi a noi europei, pur con tutte le perplessità che la situazione politica dell’Europa pone, come giustamente descrive Robi Ronza nel suo articolo.

I recenti incontri a Minsk tra le parti in causa e i tentativi di giungere a un cessate il fuoco duraturo che lasci spazio alle trattative, lasciano sperare in uno sviluppo della situazione meno irragionevole, nonostante il “viso dell’arme” assunto dalla Nato, le cui ragioni politiche ha ben spiegato l’intervista ad Andrea Margelletti.

Esiste quindi ancora, pur più problematica, la possibilità di trasformare l’attuale tragedia ucraina in un nuovo inizio per una nuova Europa, in cui possa trovare posto anche la “Nuova Russia” dei ribelli dell’Ucraina orientale e in cui la Russia sia riportata a guardare a Occidente e non verso la Cina. Ma ci riuscirà un’Unione Europea che considera “periferici” anche i suoi stessi cittadini?