Uno dei titoli che ultimamente ha più movimentato le quotazioni a Piazza Affari è stato il Monte dei Paschi di Siena, istituto bancario decisamente in crisi ed esposto a una ridda di voci su possibili interventi salvifici. Data la situazione, questi “salvatori” si sono via via ritirati e l’attenzione si è ora concentrata sulla presentazione del piano di ricapitalizzazione della banca alla Bce e sulla successiva riunione del Cda tenutasi ieri.



In attesa di comunicazioni ufficiali, i commenti si focalizzano sull’atteggiamento della Bce nei confronti della Cet1 (Common Equity Tier 1) ratio richiesta a Mps e sull’entità del prossimo aumento di capitale. La Cet1 ratio è un indicatore di solidità utilizzato dalla Bce, costituito dal rapporto tra capitale ordinario più riserve e le attività della banca ponderate in base al rischio, ed è fissato in via generale a un livello superiore all’8%. Data la sua situazione, il livello chiesto a Mps è del 14,3%.



Sembra che il vertice Mps abbia cercato di convincere la Bce a tener conto dell’ulteriore pulizia effettuata, con la proposta di addebitare al bilancio 2014 circa 4 miliardi di crediti più o meno in sofferenza, o “non performing”, per dirla all’anglosassone. Ciò ridurrebbe notevolmente la ratio Cet1 richiesta e le necessità di ricapitalizzazione per il momento sono state individuate in un aumento di capitale di 2,5 miliardi di euro, circa l’attuale valore di Borsa. Con questa cifra si coprirebbe l’ammanco di 2,1 miliardi già emerso nel precedente stress test e la quota ancora non contabilizzata del prestito da restituire allo Stato, i cosiddetti Monti bond: dell’importo iniziale di 4 miliardi, rimane ancora da rimborsare un miliardo (700 milioni già in bilancio), mentre il resto è stato restituito in occasione dell’aumento di capitale di 5 miliardi effettuato nel 2014.



È probabile che la risposta della Bce non arrivi prima della metà di febbraio, spostando così la data dell’aumento di capitale al prossimo maggio, dati i tempi tecnici. Tra gli analisti si pensa a un aumento più forte di quello finora stabilito, aumento che potrebbe arrivare a 4 miliardi di euro. Chi sarà disposto a fare un investimento di queste dimensioni e dopo il salasso del 2014?

La vicenda Mps ha fatto riaccendere la discussione sui crediti in sofferenza delle banche, ma sarebbe strana ogni sorpresa in proposito, dato l’imperversare della crisi. Varrebbe la pena di sottolineare, piuttosto, che anche le richieste di rientro di massa dai prestiti hanno determinato un circolo vizioso in un sistema di imprese poco capitalizzate ed eccessivamente dipendente dalle banche come il nostro. Viene alla mente la vecchia definizione di banchiere come qualcuno che ti presta l’ombrello quando c’è il sole e te lo richiede quando inizia a piovere.

Al comportamento delle nostre banche si potrebbe anche applicare una frase attribuita a Enrico Cuccia: le azioni si pesano, non si contano. Ciò sembrerebbe valere anche per i debiti verso le banche, dove il nome del debitore ha il suo “debito” peso, basti pensare a quanto costò nel 2005 a diverse nostre banche (e quindi ai loro azionisti, depositanti e debitori normali) la vicenda dello equity swap Ifil-Exor, ormai dimenticata da tutti, ma che permise agli Agnelli di mantenere il controllo della Fiat.

All’origine della drammatica situazione della storica banca senese vi sono avventate operazioni su derivati e la improvvida, per usare un eufemismo, acquisizione dell’Antonveneta, che hanno mandato sotto processo il precedente vertice aziendale. Una prima sentenza di condanna è stata già promulgata nell’ottobre scorso, ma il grosso del processo continua a Milano, dove sono stati riuniti i vari filoni di indagine.

Al di là delle responsabilità personali che dovranno essere accertate dalla magistratura, rimane il danno lasciato sui bilanci della banca senese e sulla sua immagine, che ne condiziona fortemente il futuro. L’attuale situazione di incertezza può stimolare le attività dei trader in Borsa, ma non è invitante per chi fosse disposto a entrare stabilmente nella compagine azionaria per rilanciare la banca, né chi ne volesse acquistare attività. Anche perché vi sono i presupposti per poter intervenire a un costo più basso.

Forse è giunto il momento per il mondo politico, finanziario e imprenditoriale di discutere seriamente su come ridisegnare il nostro sistema bancario, lasciando da parte le dichiarazioni retoriche o ideologiche, pro o contro, che di solito segnano ogni dibattito in proposito. Il compito principale spetterebbe alla nostra classe politica, Parlamento e Governo, che però appare in tutt’altro affaccendata.

Un ruolo importante potrebbero giocarlo gli azionisti, ma colpisce che l’azionista di maggioranza assoluta in Mps fosse una Fondazione bancaria con forte rappresentanza politica, pur in palese violazione della legge. Ciò nella completa indifferenza, parrebbe, del mondo delle fondazioni bancarie. E il caso non è unico, vista la situazione della Carige, il cui socio di riferimento fino all’attuale crisi è stata, con il 46%, la relativa Fondazione. Anche Carige dovrà nello stesso periodo dar luogo a un aumento di capitale per rispettare i parametri Bce, dopo quello dell’anno scorso, che fu di 800 milioni di euro. Inoltre, notizia di pochi giorni fa, la Consob ha impugnato il bilancio Carige del 2013 presso il Tribunale di Genova.

Direi che ce n’è abbastanza per aprire una discussione seria.