Pur con coloriture diverse, i commenti sui fatti di Parigi hanno continuato a focalizzarsi su terrorismo e libertà di stampa, ma lo scenario generale segnala la pericolosità della riduzione degli eventi a questi due parametri, sempre più simili a due cliché.

Nella discussione sul terrorismo, può essere utile riandare alle imprese delle Brigate rosse e all’atteggiamento del Pci negli anni di piombo, non per improbabili analogie ma per ragionevoli paralleli. Obiettivo degli atti terroristici delle Br era infondere terrore nella popolazione e scardinare le strutture dello Stato per facilitare l’attesa rivoluzione che avrebbe abbattuto lo Stato borghese. L’insurrezione armata, d’altronde, era stato il programma di una parte del Partito comunista nei primi anni del dopoguerra. In un primo momento il Pci reagì parlando di “sedicenti Brigate rosse”, in base al principio che il terrorismo è solo “nero”; poi, di fronte alle evidenze, si passò alla definizione di “compagni che sbagliano”, condannandone quindi i metodi, per infine giungere ad una condanna esplicita e definitiva.



Una simile gamma di giudizi si percepisce ora tra i musulmani a proposito del terrorismo di matrice islamica, con chi nega che abbia alcunché a che vedere con l’islam, con altri che lo considerano conseguenza di una cattiva interpretazione dell’islam, “musulmani che sbagliano”, e altri che li combattono considerandoli, comunque, un pericolo al proprio modo di vivere.



Se Al Qaeda, Isis, Boko Haram e via dicendo siano o meno veri islamici è un problema interno all’islam; ciò che è invece di interesse comune al mondo islamico e a chi non ne fa parte ma rimane coinvolto in questa guerra, è se si condividono o meno i loro obiettivi, che appaiono quelli della costruzione di Stati islamici. Un punto questo non collegato al solo terrorismo, se si tengono presenti gli scontri all’interno della società egiziana sulla nuova Costituzione, se la sharia ne dovesse essere l’unica fonte, la fonte principale, o una delle fonti, cioè se l’Egitto dovesse essere uno Stato islamico confessionale, o uno Stato laico, seppure non laicista. Anche se non era comunque chiaro come venissero salvaguardate le religioni diverse da quella musulmana. 



Il lungo periodo di attentati attribuiti ad Al Qaeda e affini è assimilabile, mutatis mutandis, a quello nostrano delle Br, ma è difficilmente comparabile al periodo attuale, di cui semmai rappresenta un prologo. Isis, Boko Haram o gli shabaab somali, hanno costituito propri Stati con propri eserciti: nei territori da loro occupati, la rivoluzione è avvenuta, a differenza dell’Italia delle Br, ed è avvenuta perché una parte del mondo musulmano l’ha permessa o addirittura sostenuta.

E’ sacrosanto l’orrore per le efferatezze compiute in Siria, Iraq o Nigeria, ma occorre andar oltre. Per chi ha vissuto gli anni di guerra in Europa, sia pure da bambino come il sottoscritto, ricorda il terrore diffuso nelle nostre città dai governi democratici di Gran Bretagna e Stati Uniti con i bombardamenti a tappeto. Né si può dimenticare che la democratica Francia chiuse un occhio sulle violenze dei suoi goumier, i soldati marocchini al seguito delle Forze Alleate, e sulle migliaia di stupri commessi da costoro, come sa chi ha letto La ciociara di Moravia o visto il film di De Sica con Sofia Loren.

Il problema rimane quanto queste efferatezze siano legittimate da uno Stato che si dice islamico, domanda non oziosa, visto che uno Stato “amico” dell’Occidente, come l’Arabia Saudita, sul suo territorio impedisce ogni culto che non sia quello sunnita e, se non perpetra direttamente le efferatezze dei gruppi citati, condanna a 1000 (mille) sferzate un blogger per blasfemia e afferma di farlo in obbedienza al Corano.

In questo scenario di guerra dichiarata, gli attentati di Parigi appaiono, più che atti terroristici, azioni di commando dietro le linee nemiche, affidate a “resistenti” locali. Le modalità non sono quelle tipiche terroristiche, con autobombe o kamikaze, come nei contemporanei attentati in Yemen o Nigeria, dove si sono fatte esplodere tre bambine. Anche la scelta degli obiettivi è stata più “mirata”, diretta a colpire il cuore della cultura attualmente dominante in Francia, quella “laïcité” che esclude a priori ogni presenza pubblica della religione. Un’esclusione che ha fatto esultare diversi partecipanti ai dibattiti sulle nostre televisioni e inneggiare alla “vera” libertà, quella che rifiuta la libertà di sostenere in pubblico posizioni divergenti da quelle imposte dallo Stato. Non c’è da meravigliarsi, perciò, che a Parigi sfilassero anche Putin (c’era Lavrov per lui), Erdogan o Abu Mazen.

Per una volta, i cristiani non sono stati l’obiettivo dell’attacco, forse perché ritenuti poco “produttivi” sul suolo francese. Forse gli organizzatori degli attentati si sono ricordati di un’intervista del 2012 a Le Monde, nella quale Stéphane Charbonnier, il direttore di Charlie Hebdo trucidato nell’attacco al settimanale, dichiarava che avrebbe ancora pubblicato vignette sull’islam, perché “Bisogna continuare fino a quando l’islam diventerà banale come il cattolicesimo”.

Significativo anche il secondo obiettivo, il quartiere ebraico, attaccando così il nemico stereotipo di buona parte dell’islam, Israele. Il minor risalto dato a questi morti rispetto a quelli dell’altro attentato è stato sottolineato non solo dai media israeliani, ma anche da un giornale “al di sopra di ogni sospetto” come Der Spiegel. Questo attacco fa seguito a un crescendo di segnali antisemiti in Francia che sta creando molta preoccupazione nella comunità ebraica.

Un altro aspetto che l’Occidente sembra non capire è quello del califfato, che a noi europei suona bizzarro come la proposta di risuscitare il Sacro Romano Impero. Per i musulmani il califfato rappresenta il periodo iniziale della diffusione dell’islam al di fuori della penisola arabica, sotto i successori di Maometto, un’espansione che portò l’islam nel giro di un secolo in tutto il Nord Africa, in Spagna, fino all’India.

Non si può quindi negare l’attrazione che il califfato ha ancora sui musulmani, né che esso rappresenti quella stretta connessione tra potere religioso e politico che ha permesso ai sultani ottomani di avere una guida su tutto il mondo islamico, anche se spesso solo nominale, fino alla soppressione del califfato da parte dei laicisti Giovani Turchi di Kemal Atatűrk nel 1924.

Dovrebbe preoccupare che anche Boko Haram abbia l’obiettivo di costituire un califfato in Nigeria, come chiaramente dice su queste colonne il vescovo nigeriano Mons. Kaigama. I giornali nigeriani, infatti, definiscono i guerriglieri di Boko Haram “insurgents”, insorti, ribelli, non terroristi. Né costoro, né l’Isis, né gli shabaab si fermeranno ai territori in cui hanno già instaurato la loro dittature ideologica, ma l’Europa sembra non accorgersene.