Potremmo considerarli solo come uno dei tanti drammatici eventi che ormai segnano dolorosamente ogni giorno in gran parte del Medio Oriente, ma negli scontri nell’area del Golan è coinvolto Israele e, quindi, scatta l’allarme rosso. Anche perché dietro gli avversari diretti, gli Hezbollah libanesi, vi è il ben più pericoloso Iran.

Come spesso in questa zona, siamo in presenza di rappresaglie e contro-rappresaglie che stanno colpendo sia in Siria che in Libano, dove è stato ucciso anche un soldato spagnolo in forza all’Onu. Il punto iniziale è stato l’attacco aereo del 18 gennaio in territorio siriano, in cui sono rimasti uccisi diversi guerriglieri di Hezbollah e un generale iraniano. La dinamica non è chiara, dato che Hezbollah parla di elicotteri israeliani, mentre secondo osservatori dell’Onu si è trattato di droni provenienti da Israele. A quanto pare, non sono arrivate comunicazioni ufficiali dal governo israeliano.

Secondo la maggior parte dei commentatori, né Israele né Hezbollah e Iran hanno realmente intenzione di scatenare una nuova guerra come quella del 2006, ma si sottolinea che anche allora la valutazione delle possibili reazioni e conseguenze non fu corretta. La possibilità che gli eventi sfuggano di mano è considerata ora ancor più elevata.

La Siria è ormai un campo di battaglia nel quale la guerra civile tra oppositori e regime di Assad è solo uno dei conflitti in corso. La presenza esplicita di Hezbollah e Iran ai confini con Israele supera il semplice appoggio al regime di Damasco e costituisce una reale minaccia per Israele, che ha finora cercato di non intervenire nel conflitto, anche se ha probabilmente appoggiato indirettamente gli insorti per indebolire il governo siriano.

Lo scenario sembra ben diverso da quello che, un anno e mezzo fa, spinse Papa Francesco a scrivere a Putin, in quanto presidente del G20, quando Obama sembrava deciso a intervenire direttamente per abbattere Assad. Ora gli Usa sono costretti, sia pure obtorto collo, a non combattere più apertamente Assad che, lungi dal cadere, con il suo esercito è un importante pedina nella lotta contro l’Isis.

Il sostegno dell’Iran al regime siriano sembra rientrare in un’ottica più ampia, di presidio di un’area particolarmente importante ai fini del controllo della regione, come dimostra l’aperta presenza di un suo generale a fianco di Hezbollah. Il movimento sciita governa di fatto una parte rilevante del Libano, Paese di cui si parla poco malgrado la sua gravissima situazione, e costituisce il punto terminale della cosiddetta mezzaluna sciita, che ricongiunge il Libano all’Iran, passando per la Siria e lo sciita Iraq del Sud.

In questo disegno di espansione, l’Iran deve fare i conti con le altre due potenze regionali,entrambe sunnite, Turchia e Arabia Saudita, con cui è già in atto un confronto indiretto dopo il colpo di stato sciita degli Houthi in Yemen. 

Riyad ritiene che siano appoggiati da Teheran e li considera molto pericolosi, vista la presenza in Arabia di una minoranza sciita stimata attorno al 15-20%. Il tutto, mentre è in corso l’insediamento di un nuovo monarca saudita e Iran e Arabia sono su fronti diversi all’interno dell’Opec circa il prezzo del petrolio.

La situazione nello Yemen è molto instabile, sia per la presenza nel Sud del Paese di un movimento separatista (fino al 1990 l’ex Protettorato di Aden era indipendente), sia perché al Qaeda è ben installata nel Paese, nonostante gli americani continuino con i bombardamenti delle sue basi.

In questo quadro, si direbbe non conveniente per Iran e Israele aprire un nuovo fronte di guerra, ma è difficile che Teheran rinunci alla sua ostilità per Israele, sapendo di avere in questo l’approvazione di gran parte del mondo musulmano, al di là delle differenze confessionali: puntuale, infatti, il plauso dei sunniti di Hamas.

Per quanto riguarda Israele, a metà marzo si terranno le elezioni politiche e Netanyahu non giocherà di certo proprio ora il ruolo di colomba che gli è così poco consono. Inoltre, il Partito Repubblicano ha invitato Netanyahu a parlare davanti al Congresso degli Stati Uniti il prossimo 11 febbraio, e una posizione “forte” nei confronti dell’Iran piacerà a quella parte di americani che ritengono pericolosa la strategia più conciliante nei confronti di Teheran ultimamente seguita da Obama, sia pure con l’incertezza che sembra contraddistinguere la sua politica estera.

Anche Netanyahu e parte degli israeliani temono che questa strategia finisca solo per rafforzare gli estremisti in Iran, mettendo a grave rischio la sicurezza di Israele. Anche le Guardie della Rivoluzione iraniane si oppongono ad un trattato sul nucleare con gli Stati Uniti, creando una paradossale e pericolosa unità di intenti con la destra israeliana.

Sarà bene che i vari governi non perdano il controllo della situazione e, a noi comuni mortali, rimane il fondamentale compito di pregare.