L’amministratore delegato e direttore generale di Finmeccanica, Mauro Moretti, ha presentato agli analisti finanziari di Londra il nuovo piano industriale del gruppo, una presentazione all’insegna del “cambiamento”, in linea con lo stile del suo sponsor, Matteo Renzi, anche se con toni più asciutti e meno enfatici. 

I titoli dei giornali si sono concentrati sulla promessa riduzione di costi per 150 milioni di euro, annunciata dallo stesso ad con un sorridente “i tagli di Moretti”, chissà se uno sbeffeggio proprio al povero Renzi. Mi riferisco a quell’uscita di Moretti, nel marzo dell’anno scorso, in cui si scagliava contro l’ipotesi del governo di ridurre gli stipendi dei manager pubblici al di sotto dei 300 milioni di euro (lui prendeva quasi 900 milioni), minacciando le sue dimissioni. Due mesi dopo, Moretti era davvero fuori da Ferrovie dello Stato, ma non per dimissioni: Renzi lo aveva nominato alla guida di Finmeccanica, con uno stipendio non inferiore al precedente.

Va detto che, in rapporto ai suoi predecessori, il rapporto tra stipendio e risultati ottenuti sembrerebbe decisamente in suo favore; aspettiamo ora di vedere cosa succede nel nuovo incarico. Dalla relazione di Londra, i risultati per il 2014 si presentano migliori rispetto alle previsioni, ma non ho elementi per dire che è merito di Moretti, insediato solo nello scorso maggio. È comunque un risultato positivo alla luce del quale valutare ciò che Moretti sta facendo, fondamentalmente su due fronti: la riorganizzazione interna e la strategia per il futuro.

Sul primo punto, nella sua relazione Moretti ha evidenziato il lavoro di ristrutturazione intrapreso, senza rinunciare a esplicite critiche verso le passate gestioni. In effetti, Finmeccanica dall’esterno appare un coacervo di imprese difficile da gestire in modo sufficientemente coordinato, con conseguenti ampie sacche di spreco. Al di là di responsabilità puntuali, e come altre aziende pubbliche, il gruppo è stato costruito più che secondo una logica di impresa, per rispondere a esigenze, anche giustificate, di politica nazionale e internazionale.

L’intenzione di Moretti pare quella di eliminare tutte le società autonome, che non abbiano una ragione di mercato specifica per rimanere tali, trasformandole in divisioni aziendali. Ciò porterebbe a una maggiore unità di gestione, che è senza dubbio nelle corde di Moretti, con una più efficace ed efficiente conduzione strategica, eliminando sovrapposizioni e costi di gestione. La cosa pare di per sé sensata, se condotta con flessibilità e intelligenza: una versione burocratica della riorganizzazione sarebbe deleteria, vista la molteplicità di settori in cui Finmeccanica opera e la particolare delicatezza di molti di essi. Una situazione molto diversa da quella delle FFSS in cui Moretti ha svolto tutta la sua vita professionale.

Per quanto riguarda la strategia futura, anche senza condividere lo scetticismo del Wall Street Journal che consiglia prudenza agli azionisti fino a che il piano di Moretti non sarà più chiaro, non si vedono grandi novità rispetto al passato. Il fuoco rimane concentrato sui tre settori già adesso rilevanti, anche ai fini del fatturato: elicotteri e aerei (Agusta Westland e Alenia Aermacchi), elettronica per la difesa (Selex ES) e spazio (Thales Alenia Space e Telespazio).

Moretti ha giustamente sottolineato l’indirizzo “duale”, cioè sia militare che civile, per elicotteri e aerei, pur mettendo un accento particolare sui programmi relativi agli F35, che proprio duali non sono. Ha invece espresso dubbi sulla continuazione di Superjet International, società compartecipata da Alenia Aermacchi e dalla russa Sukhoi, peraltro già in discussione per le sanzioni contro la Russia.

Rimane confermata la strategia di progressivo disimpegno per la società americana Drs Technologies, che opera nei sistemi elettronici di difesa: Moretti non ha parlato di dismissione, ma di vendita di alcune attività per 200 milioni di euro e di ricerca di un partner. Drs fu comprata nel 2008 per 3,5 miliardi di euro e da allora ha continuato a diminuire il fatturato per i tagli apportati dagli Usa alle spese per la difesa. Questo acquisto può essere considerato, almeno con il senno di poi, un errore, ma dismetterla ora significa per Finmeccanica una sostanziale svendita e la rinuncia alla presenza diretta sul mercato americano. 

Infine, rimane anche confermata l’uscita dal settore treni e segnaletica, con la vendita di Ansaldo Breda e del 40% della quotata Ansaldo Sts, per le quali sono già state presentate offerte vincolanti dalla giapponese Hitachi e dalla cordata cinese guidata da Insigma. Secondo quanto dichiarato da Moretti, nessuna decisione è stata ancora presa, il che fa pensare a possibili rilanci in corso.

Bisogna dare atto a Moretti di un tentativo, apparentemente concreto, di mettere ordine in questo frastagliato scenario; tuttavia, non si può non rimarcare che Finmeccanica non è una società “normale” e che nei suoi confronti è del tutto corretto parlare di ” società di interesse strategico”. A nessun manager, per quanto capace, può essere lasciata carta bianca nella ristrutturazione e nelle strategie, che rimangono compito dell’azionista di riferimento. 

Speriamo che, una volta passato il tormentone delle elezioni presidenziali, Renzi e Pinotti trovino il tempo di occuparsene. A meno che sia meglio lasciare tutto in mano al duro e intransigente Moretti.