Nello scorso giugno, la People’s Bank of China, la Banca centrale cinese, era entrata nell’azionariato di alcune grandi banche italiane, in Intesa Sanpaolo e Unicredit con il 2,005% e in Mps con il 2,010%. Questi acquisti facevano seguito a una serie di operazioni compiute nel corso del 2014 dalla banca cinese a Piazza Affari: Enel, Eni, Fiat, Generali, Mediobanca, Prysmian, Saipem, Telecom, Terna. Tutte partecipazioni di poco superiori al 2%, il livello oltre il quale occorre segnalare la propria partecipazione alla Consob, rendendola così pubblica.
Ora, secondo quanto comunicato dalla Consob, le partecipazioni in Unicredit e Intesa sono scese immediatamente sotto il 2%, e altrettanto è avvenuto per quella in Enele e Terna. Una mossa simile effettuata da un investitore “normale” sarebbe passata forse inosservata, ma fatta dalla Banca centrale cinese provoca inevitabilmente qualche domanda, per esempio, perché proprio su questi titoli, per quali ragioni e se ci si può aspettare altre operazioni simili.
Un’ipotesi potrebbe essere un segnale lanciato al nostro governo per indurlo a sostenere la Cina nelle varie questioni aperte in campo geofinanziario, oltreché geopolitico, ma la mossa sembra abbastanza marginale a questo scopo. Difficile pensare al fattore economico, dato che gli investimenti della Pboc nella nostra Borsa sono valutati attorno ai 5 miliardi e, quindi, queste limature si possono considerare irrisorie. Il che fa pensare a una possibile completa uscita dalle quattro società, che libererebbe in effetti risorse molto più consistenti, magari da investire in qualche altro titolo italiano ritenuto adesso più interessante.
Ritorna la domanda: perché proprio questi titoli? Tralasciando Enel, per Terna una ragione si potrebbe trovare nell’acquisizione da parte della State Grid Corporation, società statale cinese, del 35% di Cdp Reti, che controlla Terna e Snam. Questa partecipazione indiretta di una società statale potrebbe aver reso non indispensabile la partecipazione diretta di Pboc in Terna.
Più difficile comprendere le ragioni di una potenziale uscita dal capitale dei due maggiori gruppi bancari italiani, a distanza di pochi mesi dall’acquisto, rimanendo peraltro in Mps, almeno per il momento. Forse per quest’ultima banca Pboc si aspetta qualche ulteriore sviluppo, che non intravede invece per le altre due. O ritiene sufficiente la sua presenza in altre due rilevanti istituzioni finanziarie, Mediobanca e Generali, per poter agire sullo scenario finanziario italiano.
Per capirne di più occorre attendere i prossimi sviluppi, ma la spiegazione potrebbe essere molto semplice. Come visto, tutte le partecipazioni citate sono appena al di sopra del 2%, una loro generale discesa a uno/due centesimi sotto tale soglia, come avvenuto per Enel, Terna e le due banche, non diminuirebbe di fatto la presenza di Pboc nelle società partecipate. Darebbe tuttavia un vantaggio, quello di non dover rendere pubbliche le proprie operazioni, quando e dove le si ritenesse necessarie.
Con limitati spostamenti di capitale, la Pboc ha fatto parlare prima, con il superamento del 2%, di rischio di “invasione cinese”, ora, scendendo al di sotto per una frazione, di “disimpegno cinese”. Il “teatro delle ombre”, fa parte in fondo della tradizione cinese.