La conferenza Onu tenutasi a Parigi all’inizio di dicembre sul problema clima, la cosiddetta Cop21, aveva suscitato molte speranze e altrettanti timori, ma, come prevedibile, i suoi esiti non sono stati stravolgenti. Troppi, infatti, gli interessi e i conflitti in gioco per poter addivenire a forti decisioni operative e si è quindi prodotto un documento finale ricco di buone intenzioni, di molte indicazioni che potrebbero diventare operative, una fitta agenda per una serie di organi e comitati e una sostanziale devoluzione delle decisioni ai singoli Stati. Con ovvia insoddisfazione degli ambientalisti e relative accuse alle varie lobbie e agli egoismi nazionali.
Un risultato importante è stato comunque raggiunto, perché deterioramento climatico, emissioni di gas serra e il conseguente riscaldamento globale sono diventati temi di interesse generale, non più limitati ai dibattiti scientifici o alle pressioni ambientaliste. Un primo segnale in tal senso lo avevano dato proprio sei compagnie petrolifere europee con un documento pubblicato nello scorso giugno, cui ne era seguito un altro di 14 imprese operanti nei settori energetici, rendendo esplicito il loro interesse a partecipare alle discussioni sul problema. In effetti, sul banco degli imputati sono finiti soprattutto i combustibili fossili e una delle non numerose decisioni immediatamente operative è stata quella di investire 100 miliardi di dollari all’anno per sviluppare l’energia “verde” nei Paesi meno sviluppati.
Anche a questo proposito le cose non sono semplici, basti pensare ai problemi posti dall’energia nucleare, né è pensabile una completa sostituzione dei combustibili fossili con energie rinnovabili, almeno nei prossimi decenni. La sostituzione di carbone, petrolio e gas nella produzione di elettricità, per il riscaldamento o nei trasporti con sole, vento o biomasse trova tuttora un ostacolo nei prezzi ancora non completamente competitivi di queste fonti alternative, malgrado la riduzione dei costi dovuta al loro maggiore utilizzo e al progresso tecnologico. È quindi prevedibile che debbano continuare a essere sussidiate dai governi, soprattutto se i prezzi di petrolio e gas naturale dovessero rimanere bassi.
La fonte fossile a maggior rischio è il carbone, che risulta essere il più inquinante sia in termini di gas serra durante il consumo, sia per le emissioni di metano durante la sua estrazione. Secondo i dati Iea (International energy agency), nel 2013 dal carbone dipendeva il 29% della fornitura totale di energia nel mondo e circa il 41% dell’energia elettrica e il consumo dovrebbe continuare ad aumentare anche nei prossimi cinque anni, con minori incrementi rispetto al passato. Ciò è dovuto principalmente alla Cina, che è il maggior produttore e importatore e rappresenta circa il 50% del consumo mondiale, ma che sta fortemente sviluppando fonti alternative, quali il nucleare e l’idroelettrico.
Il carbone è sotto l’attacco non solo degli ambientalisti, ma anche delle compagnie petrolifere che sostengono apertamente la sua sostituzione con il molto meno inquinante gas naturale (quasi il 45% in meno rispetto al carbone). I sostenitori del carbone rispondono che con le nuove tecnologie, in particolare la cattura e sequestro della CO2 emessa dagli impianti, anche gli impianti a carbone sono sostenibili sotto il profilo dell’inquinamento. Il dibattito rimane aperto.
I prezzi del gas naturale sono diminuiti pesantemente, come quelli del petrolio, rendendo il gas un temibile concorrente del carbone, ma con un punto debole: il trasporto. Infatti, il gas naturale viene per la gran parte trasportato attraverso gasdotti, che richiedono tempi e costi di costruzione e che pongono limiti territoriali e di sicurezza, con pericolose fuoriuscite accidentali o provocate. Sta quindi diventando sempre più importante il settore del gas naturale liquefatto, che comporta la costruzione di impianti di liquefazione e di rigassificazione, ma che consente il trasporto del gas liquefatto via mare.
Più complessa la situazione per il petrolio, che per quanto riguarda le emissioni di CO2 si situa a metà strada tra carbone e gas naturale, perché l’attuale guerra dei prezzi ne sta condizionando fortemente il futuro. Il crollo dei prezzi, più che dimezzati rispetto solo a un anno fa, sta procurando gravissimi problemi ai produttori e se le compagnie petrolifere stanno affrontando la crisi tagliando gli investimenti in ricerca ed esplorazione e ristrutturandosi per abbattere i costi, si stanno riducendo sempre più i margini di manovra per gli Stati che dal petrolio traggono forti introiti fiscali.
La strategia imposta all’Opec dall’Arabia Saudita per far uscire dal mercato i produttori più deboli, in particolare i produttori americani di shale oil e gas, per portare così a un aumento dei prezzi, insieme all’auspicata ripresa economica, sembra destinata all’insuccesso per una serie di motivi. Una delle possibili conseguenze di Parigi è la cancellazione dei benefici fiscali per i combustibili fossili, là dove esistono, e l’introduzione di più pesanti imposte sulle emissioni, le carbon tax, con ulteriore aumento dei costi di produzione. I tagli agli investimenti e il blocco di esplorazioni già iniziate possono portare in futuro a una diminuzione di offerta e a un aumento dei prezzi, ma ciò renderebbe più conveniente le fonti alternative, riaprendo il gioco. Non solo, la rivoluzione dello shale gas ha cambiato le regole del settore, permettendo di aprire pozzi e lasciarli inattivi fino a che il livello di prezzi ne renda proficuo lo sfruttamento. Ogni aumento dei prezzi rischia quindi di essere calmierato da meccanismi contrari, facendo cessare la possibilità che i produttori avevano, in particolare l’Opec, di fissare di fatto il prezzo del petrolio controllandone i livelli di produzione.
Tutto ciò significa la sparizione di carbone e petrolio? Non credo, perché carbone e petrolio hanno anche altri utilizzi industriali, il primo nella produzione di acciaio, il secondo nell’industria chimica. Certamente il ruolo dei combustibili fossili sarà molto ridimensionato, ma ci vorrà comunque molto tempo per portare a compimento questi processi e, inoltre, lo sviluppo tecnologico potrà fornire soluzioni di utilizzo ecologico per ora non visibili.