Sono tempi decisamente agitati per la politica negli Stati Uniti, che in qualche modo ricordano quelli cui noi siamo ormai, purtroppo, abituati in Italia. Mentre sono ancora in corso le polemiche per i fatti che hanno coinvolto Hillary Clinton e che stanno compromettendo la sua candidatura alla presidenza, è scoppiata un’altra vicenda ancor più imbarazzante e decisamente pericolosa.
Il presidente Obama ha intavolato trattative con l’Iran per risolvere l’annosa questione del nucleare e sventare, o ritardare, la possibilità che esso si doti di armi nucleari. Le discussioni avvengono a Ginevra tra Iran e il cosiddetto P5+1, composto da Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Germania e Regno Unito, e la prossima riunione dovrebbe tenersi in Svizzera la prossima settimana.
La base su cui si sta trattando prevede uno stop nei programmi iraniani di arricchimento dell’uranio, prolungabile per un decennio, in cambio di un progressivo allentamento delle sanzioni e dell’embargo verso l’Iran. Le discussioni sembrerebbero volgere al positivo, anche se lo stesso Obama parla di un prudente 50 per cento di probabilità di successo, ma trovano l’opposizione dei Repubblicani e molte perplessità anche tra i Democratici.
Il punto critico è che l’eventuale accordo non sembrerebbe in grado di escludere che l’Iran si doti comunque di armi nucleari; d’altra parte, i sostenitori dell’accordo obiettano che l’unica alternativa diventerebbe una disastrosa guerra, che minaccerebbe di estendersi ben oltre la già martoriata area mediorientale.
Un’alternativa questa che non sembra preoccupare i Repubblicani, che paiono decisi a sabotare ogni tentativo di accordo. Una prima mossa è stato l’invito al primo ministro israeliano Netanyahu a parlare al Congresso, senza accordo con la Casa Bianca, un vero e proprio sgarbo istituzionale. Il discorso di Netanyahu ha avuto luogo lo scorso 3 marzo, ma Obama non si è fatto vedere e una cinquantina di parlamentari Democratici si sono vistosamente allontanati.
Nel suo intervento, Netanyahu ha pesantemente attaccato le trattative con l’Iran e messo in guardia gli Stati Uniti dal commettere il grave errore di fidarsi degli iraniani, ma non ha dato alternative se non, apparentemente, mantenere lo statu quo.
Il discorso di Netanyahu e la reazione di Obama hanno reso ancor più difficile il rapporto tra le due amministrazioni, segnalando una aperta rottura tra due storici alleati, Israele e Usa. Ciò è avvenuto due settimane prima delle elezioni politiche in Israele, che si terranno il 17 marzo, ma non pare avere rafforzato la posizione del primo ministro, il cui partito è dato alla pari con il suo maggior concorrente, il laburista Isaac Herzog.
Ora i Repubblicani hanno fatto la loro seconda mossa: una lettera aperta in cui si avverte il governo iraniano che qualunque accordo, raggiunto senza l’approvazione del Congresso, avrebbe un valore solo temporaneo e potrebbe essere cancellato con un semplice tratto di penna dal prossimo presidente, che entrerà in carica all’inizio del 2017. Sarebbe cioè “niente di più che un accordo esecutivo tra il Presidente Obama e l’Ayatollah Khamenei”. La lettera è stata firmata da 47 senatori Repubblicani su 54.
Le reazioni della Casa Bianca sono state aspre e Obama ha dichiarato di trovare un po’ umoristico vedere “alcuni membri del Congresso desiderosi di far causa comune con gli estremisti iraniani. E’ una strana coalizione”. Il vicepresidente Joe Biden ha dichiarato di non ricordare nessun altro caso in cui dei senatori abbiano scritto una lettera a un governo straniero, “tanto meno a un avversario straniero”, per affermare che il presidente non ha nessuna autorità per firmare accordi con loro.
Ne è seguito un dibattito sulla liceità della lettera, che i Repubblicani hanno assimilato a una semplice dichiarazione, sull’esatta interpretazione delle norme costituzionali, e via dicendo, ma la sostanza appare un chiaro tentativo di indebolire non solo Obama, ma il ruolo della Presidenza nei confronti del Congresso, attualmente a maggioranza Repubblicana.
Il problema si era posto anche in campo Democratico ed era stata infatti preparata una bozza di legge bipartisan che prevedeva il passaggio della bozza di accordo in Congresso prima della firma, e che sarebbe stata messa in approvazione dopo che la bozza fosse stata disponibile. L’uscita Repubblicana sembra aver chiuso anche questa iniziativa comune.
L’Iran ha reagito tra l’arrabbiato e il sarcastico. Il ministro degli Esteri iraniano ha definito la lettera “senza valore legale e pura propaganda”, sottolineando che in piena trattativa senza che si sia ancora raggiunta nessuna bozza di accordo, “gruppi di pressione negli Usa sono così preoccupati da usare mezzi fuori dell’ordinario per dimostrare che, proprio come Netanyahu, sono contrari a qualsiasi tipo di accordo”. La conclusione iraniana è, ovviamente, che gli Stati Uniti sono poco attendibili.
Tra i commentatori si ritiene che la lettera non avrà particolari conseguenze sulle trattative con l’Iran, ma ha dato comunque qualche arma in più a Teheran, che potrà sempre accusare la inaffidabilità di Washington se le trattative finissero in nulla. Il problema è che un accordo è probabilmente più importante per gli americani che per gli iraniani: Obama sembra essersi improvvisamente reso conto del disastro combinato in Medio Oriente, da cui è difficile uscire senza l’aiuto delle potenze regionali dell’area. Senza l’appoggio dell’Iran, per esempio, è molto difficile risolvere il ginepraio iracheno, dove la maggioranza è sciita, visto che i curdi ormai vanno per conto loro, e combattere efficacemente l’Isis.
Questa è probabilmente la ragione del voltafaccia di Obama, dal “duro” delle sanzioni al “morbido” contrattatore con l’Iran, dietro il quale – non dobbiamo dimenticare – vi è, comunque, la Russia, come dietro il regime di Assad in Siria. In più, il vecchio fedele alleato, la Turchia, sotto il governo islamico “moderato” di Erdogan si è molto smarcato dal ruolo storico di “bastione orientale” della Nato, di cui è però ancora parte. E l’Egitto di Al Sisi non ha ancora digerito l’appoggio di Obama ai Fratelli musulmani.
Risulta veramente difficile capire la politica estera del GOP, anche alla luce della politica interna, a meno di non ricorrere al vecchio “tanto peggio, tanto meglio”, ma significa girare con il fiammifero acceso in una polveriera.