A stare alle ultime notizie, la campagna per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti è già iniziata, anche se in modo un po’ imbarazzante. Come noto, le elezioni si terranno nel novembre del 2016 e Barack Obama non potrà più candidarsi, avendo già espletato due mandati. La popolarità di Obama è molto più bassa ora rispetto al 2008 e, dopo le elezioni di mid-term dell’anno scorso, il Partito Repubblicano controlla entrambe le Camere del Congresso.

Per il Partito Democratico è quindi fondamentale la scelta di un candidato forte per le prossime presidenziali (per la verità, anche i Repubblicani si trovano in una situazione analoga) e, finora, era quasi un luogo comune identificare il candidato vincente in Hillary Clinton, tanto che qualcuno nel suo partito parlava di “incoronazione” piuttosto che di primarie.

Tutto ciò era vero fimo a una decima di giorni fa, quando la fondazione che fa capo ai Clinton, la Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation, ha ammesso al Washington Post di aver accettato donazioni dal governo algerino nel 2010, nonostante Hillary Clinton fosse allora Segretario di Stato del primo governo Obama. Una violazione delle regole etiche stabilite dalla Casa Bianca e un possibile pericoloso conflitto di interessi che hanno subito scatenato l’attacco dei Repubblicani, i quali hanno chiesto alla Fondazione di restituire questa e altre analoghe donazioni.

Questa settimana è scoppiata la seconda grana con la notizia del New York Times su Hillary Clinton che per tutto il suo mandato, dal 2009 al 2013, avrebbe usato per tutte le sue mail un account personale invece di quello del Dipartimento. La Clinton ha confermato la notizia, ma ha negato che ciò fosse contro le regole, aiutata in ciò dal Dipartimento che ha dichiarato che la disposizione per cui gli alti gradi dell’Amministrazione dovevano usare esclusivamente gli indirizzi ufficiali è stata emanata dopo che Hillary aveva lasciato l’incarico.

Al di là dell’esistenza o meno di regole, il comportamento della Clinton sembra un po’ “particolare” e tale è sembrato non solo ai Repubblicani, ma anche a molti esponenti Democratici. Un primo punto critico riguarda la sicurezza, che si ritiene sarebbe stata molto più garantita dal servizio mail del Dipartimento. Secondo una fonte anonima dall’interno del Dipartimento raccolta da Al Jazeera America, lo staff del Segretario era stato informato a suo tempo di questi rischi, ma non era successo nulla.

La contro-obiezione è stata che la Clinton non ha mai trasmesso notizie riservate (classified) via mail, per le quali avrebbe utilizzato altri canali, ma i suoi critici hanno fatto presente che vi sono molte informazioni che, pur non essendo “classified”, devono essere accuratamente protette. In più, informazioni riservate possono essere ricevute e si è citato un caso, proveniente da WikiLeaks, di informazioni riservate inviate alla Clinton sulla posta privata.

Qualcuno ha fatto notare, peraltro, che proprio il caso WikiLeaks dimostra quanto le comunicazioni ufficiali del governo americano siano vulnerabili e che forse è proprio questa la ragione per cui Hillary ha preferito utilizzare la sua mail privata. Il che renderebbe la situazione ancora più imbarazzante, se perfino un politico e un ministro della caratura di Hillary Clinton ritiene la propria posta elettronica più sicura di quella del governo della più grande potenza mondiale.

C’è poi un altro aspetto della vicenda che sta sollevando polemiche negli States. Per la legge, la corrispondenza dei funzionari federali è da considerarsi documentazione del governo e anche quella privata deve essere conservata. Jeb Bush, un possibile candidato dei Repubblicani, ha subito fatto presente che la sua posta è a disposizione di tutti e che Hillary dovrebbe porsi almeno un problema di trasparenza.

La risposta è arrivata con un tweet in cui la Clinton dice di aver chiesto al Dipartimento di Stato di rendere pubblica la propria corrispondenza, ma il Dipartimento ha replicato che ci vorrà un po’ di tempo per decidere cosa è pubblicabile del materiale ricevuto l’anno scorso. La cosa non sorprende, visto che si tratta di 55mila pagine!

Secondo un rapporto della Reuters, qualche ora prima si era fatta viva anche la Commissione della Camera dei Rappresentanti che indaga sull’incidente di Bengasi del 2012 che portò all’assassinio dell’ambasciatore americano Christopher Stevens, con un’ingiunzione che richiede entro due settimane la consegna di tutte le mail che riguardano la vicenda.

Per concludere, un altro episodio sgradevole è apparso sullo sfondo, e l’espressione è da prendersi alla lettera. L’autore del dipinto ufficiale di Bill Clinton ha dichiarato di aver inserito sullo sfondo un riferimento al caso Lewinski, il cosiddetto “Sexgate” che nel 1998 coinvolse Clinton e la stagista Monica Lewinsky. Il riferimento sarebbe un’ombra sullo sfondo del quadro che parrebbe richiamare l’abito della donna.

Sui Clinton si stanno addensando, quindi, ombre del passato e del presente, riaprendo una possibile corsa nelle primarie del Partito Democratico, che sembravano avviate a una nomina per acclamazione.