Sul travagliato fronte del Monte dei Paschi sono arrivate due notizie, una cattiva e l’altra buona. Quella cattiva è data da un nuovo rinvio dell’assemblea straordinaria degli azionisti del Monte che dovrebbe approvare l’aumento di capitale di 3 miliardi di euro, dopo quello da 5 miliardi effettuato l’anno scorso. Ora, si attende l’esito della terza convocazione, giovedì 16 aprile.
La notizia buona viene dalla firma dell’accordo con Poste Italiane per la cessione della partecipazione (10,32%) di Mps in Anima Holding Spa, controllante al 100% di Anima Sgr, società di gestione del risparmio nata dalla fusione delle Sgr di Banca Popolare di Milano e di Monte dei Paschi. Anima Holding è quotata in Borsa dal 2014 e Bpm (16,85%) e Mps hanno costituito un patto di sindacato nel quale la banca senese dovrebbe essere ora sostituita da Poste Italiane. Nell’azionariato è presente anche il Credito Valtellinese, con il 2,77%, più alcuni fondi esteri che contano per più del 15%, mentre è uscito uno dei soci fondatori, Clessidra Sgr.
Di per sé l’accordo sembrerebbe positivo. Su un prezzo concordato di 215 milioni, inclusi 5 milioni di dividendi che vengono lasciati alla banca, Mps porta a casa una plusvalenza valutata a più di 100 milioni di euro, decisamente benvenuta data la sua situazione finanziaria. Inoltre, rimarrebbe intatto l’accordo commerciale per la distribuzione dei prodotti di Anima Sgr.
Per Poste Italiane, come ha dichiarato l’ad Francesco Caio, l’acquisizione ha “una forte valenza industriale e conferma l’impegno di Poste Italiane nel settore del risparmio gestito che costituisce, con i servizi postali e logistici, e gli strumenti digitali di pagamento e transazioni, uno dei pilastri strategici del Piano industriale del gruppo”.
Sulla valenza industriale non si possono aver molti dubbi se si pensa che, in passato, il “libretto postale” ha rappresentato per la maggioranza degli italiani il porto più sicuro, se non l’unico, per i propri risparmi. Inoltre, Poste Italiane è in procinto di quotare il 40% del proprio capitale e questa operazione può rappresentare un rafforzamento che non dovrebbe dispiacere ai futuri investitori.
Tutto bene, quindi? Non proprio, perché per quanto positiva la plusvalenza dell’operazione è ben poca cosa di fronte alla situazione di Mps, che si trova a fronteggiare una perdita di più di 5 miliardi di euro alla fine del 2014 e un problematico aumento di capitale, come già detto, oltre una nuova bocciatura agli stress test della Bce. La stessa Bce ha in questa occasione sollecitato Mps a cercare di risolvere i propri problemi aggregandosi a qualche altro istituto e in quest’ottica molti hanno letto l’affrettato e, per molti versi, discutibile intervento di Renzi sulle popolari: in effetti, sembra difficile non riscontrare un interesse diretto di Renzi nella vicenda Mps. Nonostante la cortina fumogena innalzata con successo attorno al caso, è evidente la responsabilità del Pd nel fallimento della banca, responsabilità che il Pd nazionale ha di fatto ribaltato sul Pd locale.
Prima di assurgere come “rottamatore” a leader nazionale, Renzi è stato sindaco di Firenze ed esponente di primo piano del Pd toscano e non è credibile che fosse all’oscuro di ciò che succedeva in Mps, anche se la sinistra “può non sapere”. Renzi ha quindi tutto l’interesse a risolvere quanto prima la catastrofe senese, ma è da vedere se basterà la sua moral suasion per convincere banche popolari più solide a sobbarcarsi il peso del salvataggio.
Vi è poi un altro aspetto da considerare ed è quello dell’intervento pubblico, già avvenuto con i cosiddetti Monti bonds, che non hanno risolto la situazione, ma l’hanno scaricata almeno in parte sulle finanze pubbliche. Sotto questo profilo, l’operazione con Poste Italiane, ente pubblico, potrebbe essere considerato da Bruxelles un surrettizio aiuto di Stato a un’impresa privata. È probabile che la scarsa entità dell’operazione possa evitare un veto dell’Ue, ma il pericolo di un salvataggio pubblico di Mps rimane sul tappeto.
Di fronte a questa vicenda torna in mente la ormai famosa frase di Piero Fassino, a quel tempo segnatario Ds: “Allora abbiamo una banca?”, pronunciata durante una conversazione con Giovanni Consorte, presidente di Unipol che stava tentando la scalata alla Bnl. Il tutto finì in una serie di cause giudiziarie, ma sembrerebbe confermare che Mps non veniva considerata una questione dell’allora Ds, ora Pd, nazionale. A differenza di allora, questa volta Unipol è del tutto assente, ma forse è ancora troppo impegnata con la difficile digestione della Fonsai di Ligresti.