Il settore delle telecomunicazioni italiano è tornato in subbuglio e il punto di partenza è l’usuale tweet del nostro Primo Ministro, su cui si sono già egregiamente espressi su queste pagine ZaccheoPaolo Annoni, che hanno anche commentato il successivo coinvolgimento di Enel nella costruzione della banda ultralarga. La maggioranza dei commentatori ha letto questa mossa come una forte pressione, se non un esplicito attacco, a Telecom Italia, con il suo intento di investire nella banda ultralarga 10 miliardi di euro messo a repentaglio dall’intervento “pubblico” di Enel.
“Porteremo il futuro presto e ovunque”. Il proclama finale del tweet renziano si riferisce all’ambizioso piano, approvato in Consiglio dei ministri lo scorso marzo, per portare all’intera popolazione italiana la connessione ad almeno 30 Mbps e a 100 Mbps all’85% di essa, entro il 2020. L’investimento previsto nei cinque anni è di 12 miliardi di euro, di cui la metà di origine pubblica.
Il piano del governo sulla banda ultralarga divide l’Italia in quattro aree (cluster) a seconda della domanda di connessione prevista, di cui sufficientemente redditizie la A e la B, grandi e medie città, mentre lo sono scarsamente le ultime due, C e D. In queste aree è difficile portare la connessione, anche a 30 Mbps, senza un qualche sostegno pubblico.
Da questo punto di vista, al di là delle ambiguità politiche, l’intervento dell’Enel sembra sostenibile, almeno come ipotesi tecnica. Come lo stesso ente elettrico ha illustrato in un recente documento all’Autorità garante delle comunicazioni, la sua rete aerea copre tutto il territorio nazionale e potrebbe ospitare anche la fibra ottica, con notevoli risparmi rispetto ai normali scavi nel sottosuolo. Inoltre, utilizzando la rete elettrica, la connessione arriverebbe direttamente alla casa, e non alle cabine stradali da cui continuare con l’ormai famoso doppino di rame, come previsto di massima dal progetto Telecom.
Questo è il vero pericolo per l’azienda telefonica, perché verrebbe indebolito, anche fortemente, il suo principale punto di forza, l’infrastruttura di telefonia fissa, che rende solida la sua posizione in Italia di fronte ai più agguerriti e concorrenti internazionali. L’impressione è che il management, in assenza di azionisti in grado di decidere, abbia confidato troppo su questo capitale, assumendo posizioni piuttosto rigide, per esempio nelle trattative
La strada non è in discesa neppure per Enel, a parte il pericolo dei minacciati ricorsi a Bruxelles di Telecom per illegali aiuti di Stato, perché proprio nelle grandi città, come a Roma o Milano, ha bisogno di fare accordi con le municipalizzate locali. Inoltre, al tavolo sembra volersi sedere anche Terna, con la sua rete ad alta tensione, e nella partita rimarrebbe anche la Cdp con Metroweb. Insomma, uno scontro tra un ex monopolista, tuttora tale nella rete fissa, e una congerie di enti più o meno pubblici.
È ora compito del governo produrre una strategia reale e trasparente per la concreta attuazione della sua “Strategia italiana per la banda ultralarga”. Il piano è abbastanza ambizioso perché possa esservi spazio per tutti, se tutti rinunciano a protagonismi o tentazioni monopolistiche, a partire dal governo.
In tutto questo, Telecom Italia ha senza dubbio diverse responsabilità, ma non ha senso pensare di “fargliela pagare”, tanto più da parte di una classe politica che rimane alla base dei suoi problemi, che non si esauriscono con la banda ultralarga.
È prossimo in Telecom il passaggio di quote tra Telefonica e Vivendi. Il gruppo francese ha definito la sua partecipazione “opportunistica”, ribadendo l’intenzione di non rientrare nel settore telefonico. essendosi trasformata, sotto la guida di Vincent Bollorè, in una società media. Dalla vendita delle sue partecipazioni nella telefonia ha ricavato una notevole disponibilità finanziaria, stimata a 15 miliardi di euro, e vi sono voci di un possibile interesse all’acquisto del gruppo Sky.
Vivendi ha normalmente mantenuto quote minoritarie nelle società telefoniche vendute e una sua presenza in Telecom sarebbe quindi coerente con la sua strategia, anche se in questo caso la sua partecipazione potrebbe risultare decisiva in assenza di altri azionisti forti. Vivendi si è detta pronta a cogliere ogni opportunità che si presentasse in Italia nel settore dei media e sembrerebbe questo il vero significato di “opportunistico”, ricordando le discussioni in corso da tempo su possibili incroci tra Telecom, Mediaset, Vivendi e, perfino, Sky.
L’altro fronte che si sta aprendo per Telecom è la possibile fusione di Wind, controllata dai russi di VimpelCom, con 3 Italia, dei cinesi di Hutchison Whampoa. Le due società hanno confermato i contatti, ma sottolineando il loro stadio iniziale, date le difficoltà che l’operazione presenta, sia per i forti debiti di Wind, sia per i rapporti di forza nel nuovo gruppo. La fusione porterebbe a notevoli risparmi nei costi e consentirebbe il superamento di Vodafone, portandosi a ridosso del leader Telecom Italia.
L’Italia si affiancherebbe così ad altri paesi europei dove, a seguito di progressive concentrazioni, gli operatori di telefonia mobile si sono ridotti a tre, mettendo fine a battaglie sui prezzi negative per i risultati di bilancio, con vantaggi anche per le società concorrenti. Situazione questa che sta allarmando gli utenti, che di questa battaglia hanno finora beneficiato e che domani potranno trovarsi di fronte a prezzi più elevati.
Tuttavia, Telecom si troverebbe a fronteggiare la concorrenza di due grossi gruppi internazionali, come Vodafone e Hutchison, in quello che è il suo unico grande mercato. Nell’altro mercato importante, il Brasile, non è ancora chiara la posizione del gruppo, se sviluppare la propria presenza, non indifferente, o uscire con forti guadagni finanziari, si spera.
E c’è da sperare che l’atteggiamento, comunque non amichevole, di Renzi non sia dovuto alla volontà di mettere in difficoltà un possibile alleato di Mediaset, quindi di Berlusconi, come qualcuno suggerisce. C’è da sperarlo, per carità di Patria.